Trattativa Stato-Mafia: "Un caso che fa scuola"

Convegno col prof Manes, legale in Cassazione degli ex Ros Mori e De Donno

BOLOGNA

Oggi al Convento di San Domenico di Bologna si rifletterà sul processo concluso nei mesi scorsi sulla "trattativa Stato-mafia". Tema principe dell’incontro, ’il teorema inquisitorio alla prova del ragionevole dubbio’. Interverrà tra gli altri il professor Vittorio Manes, che ha assistito in Cassazione – con i colleghi Basilio Milio e Francesco Romito – i carabinieri del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno.

Professore, i suoi assistiti hanno dovuto convivere per anni con accuse pesantissime. Che percorso è stato e quali ripercussioni ha avuto?

"Un processo lunghissimo, durato più di dieci anni, che ha visto sottoposti all’accusa infamante di essere scesi a patti con la mafia due altissimi funzionari delle istituzioni, che hanno messo a rischio la vita per cercare di fermare la strategia stragista messa in campo dalle cosche siciliani nei primi anni ’90. In realtà, come accertato dalla Cassazione, i due esponenti del Ros non hanno condotto alcuna trattativa con Ciancimino e altri, ma solo compiuto le ordinarie attività investigative per cercare di arrestare i boss e in particolare bloccare l’ala stragista dei Corleonesi facente capo a Riina".

Quali insegnamenti possono trarsi da questo processo, data la sua rilevanza e le sue implicazioni?

"Il primo è che la narrazione mediatica delle vicende processuali è spesso distante dalla verità accertata. Bisognerebbe riflettere prima di accreditare come verità una ricostruzione che sostanzialmente riproduce l’ipotesi di accusa, prima che sia verificata in giudizio. Il secondo insegnamento concerne il valore, sommo, della presunzione d’innocenza in uno stato di diritto, garanzia calpestata per molti anni ai danni di Mori e De Donno, che solo dopo un lunghissimo travaglio personale e professionale e un diffuso pregiudizio mediatico che li considerava già colpevoli sono stati riconosciuti completamente estranei alle accuse infamanti loro rivolte".

Ragionevole dubbio: la Suprema Corte ha applicato la regola e assolto nel merito i suoi assistiti. Ritiene che questo possa essere un precedente per la giurisprudenza?

"È senza dubbio un precedente importante, se non un vero e proprio leading case sulla prova indiziaria. Due passaggi mi hanno colpito, in particolare. Il primo è il netto rifiuto che la Cassazione esprime di un approccio metodologico di stampo storiografico nella ricostruzione e interpretazione dei fatti: il giudice penale non è uno storico, perché non elabora ipotesi, ma verifica fatti alla luce delle prove, col il rigore imposto dalla regola ferrea dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Il secondo concerne proprio questa regola, che non è solo un criterio di valutazione della prova, ma un metodo di accertamento del fatto: il giudice deve sempre condurre le sue valutazioni e la verifica dell’accusa secondo il criterio della ’dialettica del dubbio’, che gli impone di verificarne le ipotesi mettendole a confronto con quelle alternative della difesa. Solo la fecondità di questo confronto dialettico può ’partorire’ una verità processuale affidabile. E questo, come è chiaro, evidenzia quanto importante e decisivo possa essere, nel processo, il ruolo dell’avvocato".

Federica Orlandi