VALERIO BARONCINI
Cronaca

Uno Bianca, svolta nell’inchiesta. Sentiti testi e acquisiti nuovi atti

Cosa c’era dietro la banda dei Savi: gli inquirenti stanno analizzando 277 faldoni di documenti digitalizzati

E se alla vergognosa domanda con annessa risposta – "Cosa c’è dietro la Uno Bianca? La targa" – ora replicasse una nuova o rinnovata verità? Se finalmente si chiarissero ombre e punti oscuri della vicenda dei Savi, di cui quest’anno ricorre il trentennale dall’arresto di Roberto? Se, davvero, si giungesse a una piena verità sulle distonie dell’eccidio del Pilastro o sui carabinieri uccisi a Castel Maggiore? L’inchiesta sulla banda che ha insanguinato per sette anni Emilia-Romagna e Marche, con 24 morti e oltre 100 feriti, è a una svolta. La procura guidata da Giuseppe Amato ha da tempo delegato la polizia giudiziaria che, nel frattempo, ha impresso una netta accelerazione alle proprie attività. Nelle ultime settimane, infatti, sono state sentite svariate persone, soprattutto testimoni legati a singoli episodi su cui pm, Digos e Ros vogliono vederci più chiaro. Ma non finisce qui: sono stati acquisiti atti e riletti verbali, soprattutto alla luce della digitalizzazione. La mole dei documenti in questione è enorme: si contano 277 faldoni e 11 allegati per quasi 50 metri lineari, in merito ad un arco di tempo che va dal 1990 al 2000, con etichette digitali a 260mila immagini.

C’è tutto quello che riguarda la vicenda giudiziaria della banda, dalle prime fasi dell’indagine fino al dibattimento in Cassazione. Ma c’è anche parte del materiale delle Procure di Rimini e Pesaro. Tutti documenti che non hanno mai avuto una lettura organica e che ora potranno riservare sorprese in un quadro globale.

La nuova inchiesta è stata aperta nel 2021 dalla Procura dopo aver ricevuto un’informativa dai carabinieri che hanno acquisito un’intercettazione già agli atti, ma riportata all’attenzione dai cronisti del Carlino, e un esposto di un giornalista ed ex consigliere comunale. L’intercettazione, dell’agosto 1992, tra Marino Bersani e un amico di famiglia, riguardava la figlia di Bersani, testimone della strage del 4 gennaio 1991: le dichiarazioni della giovane portarono ad accusare dell’eccidio i fratelli Santagata, appartenenti alla criminalità organizzata, poi assolti a seguito della confessione dei Savi. Nella telefonata Bersani diceva all’amico di "capi" che avrebbero rassicurato la figlia garantendole "un grande avvocato" e dicendole che erano "tutti con lei". Durante il dibattimento, il 24 ottobre 1996 fu sentito Marino Bersani (oggi morto) anche sul contenuto dell’intercettazione di quattro anni prima. Ma il teste non chiarì nulla nonostante le tante domande del giudice: "Non ricordo, non saprei". I protagonisti della vicenda sono ora stati tutti risentiti.

Poi alcuni familiari delle vittime (in testa il fratello di Ludovico Mitilini, uno dei carabinieri uccisi) hanno presentato un esposto da 250 pagine in cui si elencano azioni sanguinarie inspiegabili, depistaggi, false piste, errori che, secondo i firmatari, fecero in modo che la banda fosse "liquidata" come un gruppo di criminali comuni, per quanto sanguinari, ma che invece aveva collegamenti con quella trama eversiva incistata nel nostro Paese. Un altro pezzo del puzzle di quella strategia della tensione che per 25 anni ha massacrato l’Italia.

Difficilmente si potrà giungere a un successso giudiziario su depistaggi, mancanze e omissioni: i reati sono prescritti, ma questo non toglierà la possibilità ai pm di chiarire molti punti oscuri. Fra gli episodi su cui si lavora, oltre al Pilastro, c’è anche l’uccisione dei carabinieri a Castel Maggiore, il viaggio a Kinshasa in Kenya di Roberto Savi del 1990 e molti aspetti legati alla cosiddetta Falange armata. Un lavoro complesso e per certi versi tragicamente tardivo, ma doveroso soprattutto nei confronti delle vittime e dei familiari.