RAFFAELLA CANDOLI
Cronaca

"Ancora oggi aspettiamo il nostro Godot"

Stefano Randisi ed Enzo Vetrano da domani a domenica in scena al Bonci con la rivisitazione del capolavoro di Samuel Beckett

"Ancora oggi aspettiamo il nostro Godot"

"Ancora oggi aspettiamo il nostro Godot"

Un classico (rivisitato) del teatro dell’assurdo, "Aspettando Godot" di Samuel Beckett, è di scena al Bonci da domani a sabato alle 20.30, e domenica alle 16, per la regia, le scene e i costumi di Theodoros Terzopoulos; traduzione di Carlo Fruttero. Un cast d’eccezione vede nei ruoli principali di Vladimiro ed Estragone, rispettivamente Stefano Randisi ed Enzo Vetrano. Paolo Musio è Pozzo, Giulio Germano Cervi è Lucky e Rocco Ancarola il Ragazzo; musiche del compositore greco Panayiotis Velianitis. Con la sua inconfondibile cifra stilistica Terzopoulos rilegge l’opera e mette in relazione la contemporaneità e il dramma beckettiano, pubblicato dopo la seconda guerra mondiale: il mondo, ferito da eventi del passato e presenti è in rovina e i personaggi che lo popolano pongono a se stessi e allo spettatore un interrogativo esistenziale, ovvero quali siano le condizioni per vivere una vita che valga la pena di essere vissuta. "Forse alcune di queste domande - afferma il regista - avranno risposte dagli stessi spettatori…, l’arte del teatro esiste e persiste proprio in virtù delle domande senza risposta". Stefano Randisi, l’opera è l’emblema dell’attesa, vana. Chi attendono i due personaggi?

"Aspettano una presenza che li mette nella condizione di credere che arriverà, ma che puntualmente disillude le aspettative, creando una speranza per aspettare ancora, poiché Godot, come li avverte il Ragazzo da lui inviato, arriverà l’indomani".

Enzo Vetrano, i protagonisti incarnano le aspettative umane dell’esistenza che riservano delle delusioni?

"Certo. I due ogni giorno scelgono di aspettare quello successivo, senza andare via, ma lamentandosi, facendo loro elucubrazioni. Quel che aspettano è anche Dio: God. E la vicenda rispecchia la condizione del credente che attende il ritorno sulla terra del Messia. Dunque, l’opera è assurda nella forma, ma reale nei contenuti. Forse sarebbe meglio dire che rispecchia un teatro onirico".

Vladimiro ed Estragone hanno abiti strappati e aspetto dimesso. Perché?

"Perché – rispondono Randisi e Vetrano - sono ‘residui’ umani, sono i sopravvissuti a quel che succede nel mondo: guerre, stragi, bombardamenti e ne portano i segni evidenti sulla loro persona con gli abiti insanguinati e a brandelli. Sono dei profughi dell’umanità, che come incarnato da Lucky e Pozzo, l’uno il servo umiliato e l’altro il padrone spietato, rappresentano i gesti di violenza inflitti da un uomo a un altro uomo, e qui sta la continua attualità del testo e della sua interpretazione".

La scenografia è piena di simbolismi da interpretare.

"A rappresentare le situazioni in cui l’umanità è ingabbiata: quattro grandi pannelli neri sono divisi da una sottilissima fessura di luce a forma di croce, che si apre e chiude. Sul piano orizzontale sono distesi i due barboni in dialoghi assurdi e sopra di loro, in verticale, scende una croce reale, dalla cui sommità, il Ragazzo annuncia che l’ arrivo di Godot è rinviato. In verticale compare lo spietato Pozzo e da sotto sbuca il suo schiavo Luchy, oggetto di angherie. E poi c’è l’albero che rappresenta il tempo che scorre e al cui ramo i due protagonisti ipotizzano di potersi impiccare: ma l’albero è un bonsai e loro non hanno una corda. Eppure, c’è una pacificazione finale. Il mondo è così e va accettato".