Triglie, in dialetto “rusòl”, per il colore rosso delle loro squame (ma anche “barbùn”, per via dei loro barbigli). E mazzole, bel pesce dal capo grosso: bello anche a vedersi per le screziature iridescenti delle sue pinne pettorali. Pesci noti da secoli, molto consumati per le loro carni gustose preparate in vari modi: entrano d’autorità nel mitico brodetto di pesce. Spunto, in questa puntata, per una “retata “ storica sui regolamenti antichi del mercato di pesce, decisivo per l’alimentazione dei nostri antenati: gli Archivi di Stato sono più che ricchi di pubbliche disposizioni e normative sia commerciali sia igieniche a tutela - per quanto possibile- dei consumatori. I governatori romagnoli del passato hanno sempre cercato di controllare e calmierare in qualche modo la vendita e i prezzi del pesce per motivi annonari ed anche “religiosi”. Non bisogna dimenticare che nella nostra Romagna pontificia (che tale rimase per tre secoli e mezzo, dopo la meteora di Cesare Borgia e fino al Regno d’Italia) era di precetto, cioè d’obbligo, astenersi dal mangiar carne per più di cento giorni l’anno. Fate una botta di conti: ogni venerdì, tutta la quaresima, la vigilia di varie comandate, le penitenze inflitte dal confessore. Di conseguenza era doveroso garantire adeguati rifornimenti alle pescherie. E nel contempo vigilare contro truffe e possibili partite di pesce avariato, fonte di intossicazioni sempre pericolose per la salute. Ad esempio, già dai tempi malatestiani, vigeva l’obbligo per i rivenditori di tagliare la coda ad ogni pesce non venduto in giornata affinchè la non freschezza fosse riconoscibili a prima vista. Per far osservare queste ordinanze, un quarto della multa salata inflitta al rivenditore trovato contravventore finiva nelle tasche chi aveva fatto denuncia: il nome del denunciante doveva restare “segreto”. In genere il pesce invenduto veniva spesso salato o“fumato” (affumicato): o fritto per la conservazione nel breve periodo. Il pesce fritto è uno dei più antichi prototipi del cibo di strada oggi tornato in auge.
Un altro interessante “dietro le quinte” commerciale: già nel 1700 appaiono i “bulettini stampati”, antenati delle bollette fiscali d’accompagnamento. Cioè schede in duplice copia (una per il rivenditore, l’altra per i controlli) con le “ceste” (il peso) e i diversi tipi di pesce proposto: “teste grosse” (mazzole), “rossoli”(triglie), “sfoglie” (sogliole),”baraccole” (famiglia delle razze). E anche “porcellette”: cosa diavolo erano? Le “purzlète” erano un tipo di storione allora frequente nei nostri mari e che in primavera risaliva i fiumi per deporre le uova. Erano carni pregiate, da signori: gran parte degli acquirenti si rifaceva con le meno costose saraghine, sardelle, acquadelle, zanchetti, buratelli. Siparietto finale sul brodetto di pesce, gustoso mito per i ghiottoni e fonte di infiniti ma divertenti dibattiti su quale sia il brodetto più buono. Il brodetto di pesce- ogni località costiera ha il suo brodetto d’autore- è la versione moderna dì uno dei piatti più antichi del mondo: la zuppa di pesce. Brodetto da noi e nelle Marche, caciucco sulle coste toscane, “ciuppìn” su quelle genovesi,” ghiotta” su quelle siciliane, “ziminu” su quelle sarde. “bouillabaisse” su quelle francesi…