
Caricatura dell’800: cabalista che dà i (presunti) numeri vincenti
Entusiasmo, ma anche ‘gran fanatismo’ (come scrisse un cronista dell’epoca) per un una diffusa e spettacolare vincita al lotto a Cesena, nel novembre 1833. Il botteghino pagò duecento ambi, sei terni e una quaterna che azzeccarono le rispettive sequenze sulla estrazione della ruota di Livorno: 3, 47, 52, 64, 90. Il plico sigillato con la tabellina vincente arrivava in città grazie alla diligenza pontificia. C’era già il lotto, allora? Certo, i giochi d’azzardo legalizzati, potenti anestetici sociali, hanno storia antica. Una versione molto simile all’odierno lotto nacque a Genova sei secoli fa. La parola ‘lotto’ è entrata nel dizionario italiano dall’antico francese ‘lòt’, che significa sorte. La sua fortuna fu dovuta alla semplicità di questa formula di gioco d’azzardo comprensibile anche agli analfabeti, alla rapida di riscossione delle vincite. E soprattutto ad una ovvia considerazione da parte di ogni governo di turno: e cioè che il banco (chi tiene il banco) vince sempre e fa cassa grazie ai sogni della gran parte dei giocatori non vincenti. Lo Stato Pontificio dapprima proibì il gioco del lotto. Ma poichè molti continuavano a giocare e puntare, prevalse il pragmatismo. Nel 1727 papa Benedetto XII ammise il gioco del lotto come ‘male minore’ e ne destinò i proventi a opere benefiche, oppure come dote per le zitelle. Va ricordato che nell’italiano antico le zitelle erano le ragazze non maritate poiché non avevano neanche uno straccio da portare in dote. Venendo a tempi più recenti, segnaliamo un curioso libro cesenate uscito venti anni fa: ‘I nomar de’ lot dal ca populari’, di Dolfo Nadini (pseudonimo), casa editrice Tosca. E’ una sorta di ‘Smorfia Napoletana’ (il libro dei sogni e relativi numeri) in terra di sangiovese. In questo caso si tratta d’una locale tradizione della tombola casalinga in gran spolvero in ogni casa (più ieri che oggi) durante le feste di Natale. Tombola in cui chi estraeva dal ‘maletto’ ogni singolo numero lo chiamava prima per nome e poi come numero: ad esempio il 23, in questa versione romagnola, è il ‘pataca’, il 36 ‘lo sburone’, il 90 è sempre la paura e via andare. Un gioco, dunque, con i numeri simbolici della tombola poi abbinati al lotto: entrambi hanno 90 numeri e quasi tutte le stesse formule vincenti. Non è invece un gioco, purtroppo e in diversi casi, il fanatismo per l’odierno gioco d’azzardo legalizzato e sue varie filiazioni (gratta e vinci, slot machine eccetera), febbre che può portare a gravi dipendenze. Qui citeremo solo l’ultima frase de ‘Il Giocatore’ di Dostoevskij, che il demone del gioco lo conosceva bene: ‘domani non esiste’, per il giocatore d’azzardo. Oggi si chiamo ludopatia: dipendenza che, se non curata, è rovinosa.