Nella moda tutto fa brodo: "La mia ’Tortellino bag’ è un omaggio alla nonna"

La borsa a forma di cappelletto dello stilista di Sarsina Federico Cina conquista la Fashion week di Milano e spopola sui social network.

Nella moda tutto fa brodo: "La mia ’Tortellino bag’ è un omaggio alla nonna"

Nella moda tutto fa brodo: "La mia ’Tortellino bag’ è un omaggio alla nonna"

Gli addetti ai lavori l’hanno definita ‘il coup de génie’ della prima Fashion week del 2024, andata in scena la settimana scorsa sulle passerelle milanesi. Il nuovo anno della moda si è aperto all’insegna delle forme morbide e rassicuranti della ‘Tortellino bag’ di Federico Cina, designer di Sarsina, classe 1994, che si è inventato una borsa realizzata esattamente come un tortellino. L’accessorio – un vezzo ‘genderless’, cioè adatto sia al guardaroba maschile che femminile – spopola su Tik Tok ed è già in cima ai trend della prossima primavera-estate.

Cina, i suoi conterranei romagnoli gliel’avranno già chiesto: perché chiamare la sua creazione ‘Tortellino bag’ e non ‘Cappelletto bag’? È consapevole della pericolosità di questa operazione, vista la diatriba secolare che vede contrapposti i due tipi di pasta ripiena?

"È vero, me l’hanno fatto notare in tanti (ride, ndr). Voglio precisare che, come tutti i romagnoli, adoro il cappelletto, ma ‘tortellino’ ci è sembrata una parola più semplice da pronunciare per gli stranieri, oltre a essere più nota oltreconfine. È solo una ragione di ‘spelling’".

È chiaro l’omaggio all’Emilia-Romagna e a una delle sue eccellenze culinarie.

"È innanzitutto un omaggio a mia nonna. Uno dei ricordi più affettuosi della mia infanzia riguarda proprio i pomeriggi trascorsi assieme in cucina: la guardavo tirare la sfoglia, la aiutavo a chiudere i cappelletti. Le domeniche, in Emilia come in Romagna, hanno il profumo buono del brodo".

Anche il processo creativo della borsa ricorda la preparazione di un tortellino.

"Si parte da un quadrato di pelle unico che viene ripiegato, proprio come si ripiega la sfoglia. Quindi viene imbottito, come se racchiudesse un ripieno. La pelle è tutta di scarto alimentare certificato, recuperato dagli avanzi della produzione di alta moda. Ciò rende assai difficile mantenere omogenei texture e colori del pellame, ma è coerente con quella promessa di sostenibilità ambientale che fa parte, da sempre, dei valori del brand".

Con il suo brand, nato nel 2019, sfila a Milano dal 2022 (dal 2020 nel format ‘digitale’, imposto dalla pandemia). Quanto è stato difficile farsi spazio fra i ‘mostri sacri’ della moda tricolore?

"Ci sono volute costanza, tenacia e determinazione. Per anni ho lavorato giorno e notte, sono andato avanti nonostante i ‘no’ e le porte in faccia. Quando ho fondato il brand avevo 24 anni, ho dovuto faticare il doppio per essere credibile. Quest’anno ne compio 30, ma dentro ne sento 150 (sorride, ndr)".

Tra i tratti distintivi delle sue collezioni c’è il richiamo costante alla terra d’origine. Cosa la lega a Sarsina?

"So di aver avuto fin da piccolo una vocazione per il lavoro nella moda, ma da Sarsina questo mondo patinato sembrava lontano anni luce. Non vedevo l’ora di andare via. Poi, negli anni in cui son vissuto tra Milano e l’Europa - lavorando, fra l’altro, per la maison di Emilio Pucci - ho capito quanto contasse, per me, quel patrimonio fatto di nostalgia, tradizioni e ricordi familiari. Ho deciso di tornare: in Romagna c’è la sede del brand, oltre ai tanti laboratori, maglifici e artigiani dell’entroterra con cui collaboro".

Maddalena De Franchis