ELIDE GIORDANI
Cronaca

"Pediatria in prima linea per la salute". Cerasoli in pensione dopo 42 anni

Il medico: "La pediatria di comunità non si concentra solo sul bambino ma si allarga a famiglia e scuola"

"Pediatria in prima linea per la salute". Cerasoli in pensione dopo 42 anni

"Pediatria in prima linea per la salute". Cerasoli in pensione dopo 42 anni

Quarantadue anni di attività e migliaia di bambini incrociati sui sentieri della malattia ma anche della prevenzione e del benessere. E ora la svolta: Giancarlo Cerasoli, uno tra i pediatri di famiglia più noti in città, dal 1° gennaio è in pensione. Ancora per un po’ sarà disponibile come libero professionista ma nel suo futuro c’è soprattutto una più intensa attività di ricercatore. Storico della medicina, capace di accendere, come nessuno ha mai fatto, un faro sulle malattie che hanno caratterizzato il nostro territorio, si è anche dedicato alla storia degli uomini che hanno determinato l’evoluzione della cura e delle strutture ad essa dedicate. Proveniente da una famiglia di medici (lo erano il padre Vincenzo, tisiologo, la madre Tosca Spadoni, pediatra, e i due fratelli maggiori) dopo la specializzazione in Pediatria a Bologna è stato pediatra di comunità a Ferrara e ospedaliero in alcune città della Romagna. Approdato al Bufalini - quando la Pediatria era guidata da un illuminato primario come Giancarlo Biasini - vi è rimasto dal 1990 al 2005. Poi un nuovo cambio di direzione: pediatra di famiglia, con il suo largo raggio tra contesti sociali, per quasi 20 anni.

Un bel salto dottor Cerasoli, da pediatra di comunità a ospedaliero e poi pediatra di famiglia.

"Il pediatra di comunità è la sentinella della pediatria. Le vaccinazioni, gli interventi nelle scuole, le profilassi, l’educazione sanitaria rappresentano un mondo vasto. Ho imparato come erano i bambini sani, in ospedale invece si hanno contatti solo con i bambini malati. Ma all’epoca mi innamorai del Bufalini, grazie a Biasini, che era un ospedaliero ma è stato anche uno dei fondatori della pediatria di comunità. Scrivemmo, a più mani, il primo libro italiano sull’argomento, tra prevenzione e medicina scolastica".

Perché, allora, la decisione di lasciare l’ospedale?

"Biasini era andato in pensione e i nuovi primari si portavano i propri allievi. Nel frattempo, però, erano nati i miei due figli e faticavo a trovare tempo per loro poiché il mio impegno nella rianimazione neonatale era senza sosta. Dovevo scegliere".

Come si può sintetizzare la pediatria di comunità?

"Una medicina che non si concentra solo sul bambino, ma si allarga alle famiglie e le loro patologie, agli asili, alle scuole, ai bambini profughi. Il pediatra di famiglia invece ha un rapporto fiduciario diretto per tutto ciò che riguarda la salute dei più piccoli".

Cosa è cambiato negli anni nelle malattie di bambini?

"C’è stata una riduzione delle patologie acute, a parte il Covid che è stata un’eccezione, e un aumento delle patologie croniche. Cinquant’anni fa il pediatra aveva a che fare con patologie infettive che oggi non vediamo quasi più, ma abbiamo la possibilità di diagnosticare patologie croniche anche molto rare come l’atrofia muscolare spinale, curate con la medicina genetica".

E nel rapporto tra medico e paziente?

"Si è passati dal paternalismo e dalla fiducia illimitata verso il medico, che non aveva necessità di raccontare tanto poichè bastava indicare problema e terapia, alla diffidenza degli anni ‘80 e al vilipendio degli ultimi anni".

I genitori sono più bravi di un tempo a curare i figli?

"Un tempo le patologie erano tollerate e si seguivano i consigli, ora si è soli e non si accetta più di avere un bimbo malato, che viene visto come un inconveniente. La febbre diventa essa stessa una malattia che va immediatamente eliminata. Non esiste più il concetto di convalescenza. Il bambino deve guarire subito per riportalo al nido o a scuola. Ma è così anche per gli adulti".

Perché nascono sempre meno bambini?

"Perché nella nostra società non ci sono più tempi e spazi per loro. La nostra è una città virtuosa, con molti servizi per l’infanzia, ma le famiglie che vogliono un figlio prima di tutto lo devono progettare, mentre una volta era naturale che arrivasse, e poi mettersi al servizio del bambino, che vuol dire soldi da investire, attenzioni, tempo, servizi. E in più sono pochi i nonni che vogliano prendersene cura".