RAFFAELLA CANDOLI
Cronaca

Teatro Delusio, il backstage è uno spettacolo

Hajo Schuler, direttore artistico della compagnia ‘Familie Floz’: "L’idea ci è venuta osservando il lavoro dei tecnici di scena"

Teatro Delusio, il backstage è uno spettacolo

Teatro Delusio, il backstage è uno spettacolo

Venerdì e sabato alle 20.30, tornano sul palco del Bonci i "Familie Flöz", talentuosi componenti della compagnia berlinese che nella passata stagione ha portato a Cesena, in prima nazionale, il fortunatissimo Hocus Pocus. Lo spettacolo dal titolo "Teatro Delusio", è ancora una volta l’esempio di come l’abilità gestuale degli attori, icone del teatro di figura, riesca a superare quel che potrebbe sembrare una limitazione: gli interpreti non parlano, e indossano enormi "maschere" grottesche dalle sembianze umane. I tre attori danno vita a ben 29 distinti personaggi, grazie a fulminee trasformazioni, e a dare una connotazione caratteriale a ciascuno di essi. Un’ora e mezzo di stupore e poesia, di inganno e illusione, sulle varie tipologie umane, riassunte nel microcosmo di un gruppo di maestranze che lavora dietro le quinte di un teatro, in preparazione di uno spettacolo.

Hajo Schüler, direttore artistico della Compagnia, come è nata l’idea del teatro nel teatro?

"L’idea di scrivere uno spettacolo sul backstage ci è venuta sul nostro abituale luogo di lavoro, il teatro. Non è affatto nuova, ad esempio "Noises off!" di Michael Frayn è stato un grande successo teatrale negli anni ‘80 ed è stato anche trasformato in un film. Ma in questo caso la comicità era soprattutto nei dialoghi. Noi invece abbiamo cominciato a guardare i tecnici che lavorano per noi, ci siamo seduti senza essere riconosciuti nell’auditorium vuoto, mentre alcuni di loro preparavano quanto necessario per la messa in scena. È stato così bello stare lì, meravigliandoci e ridendo tra noi mentre lo spettacolo prendeva corpo".

Con l’aiuto delle maschere date vita a ben 29 personaggi emblematici. Eppure le maschere hanno una loro fissità espressiva. Come è possibile?

"A noi piace scegliere luoghi che rappresentano un universo a sé stante, per così dire: il teatro è un luogo di questo tipo, perché lì si ricostruisce la vita stessa. Una maschera fa esattamente questo. È un oggetto artificiale, rigido e di fatto privo di vita. Ma è uno strumento che fin dal teatro antico è stato inventato per rappresentare la vita stessa. Attraverso il nostro spettacolo, la maschera diventa qualcosa di vivo. Ma questo funziona solo perché lo spettatore riconosce qualcosa nelle maschere, scopre se stesso o qualcosa che conosce in esse. Questo può creare una certa magia, è il paradosso del teatro".

I personaggi principali sono i tre tecnici Bob, Bernd e Ivan. Cosa li caratterizza?

"I nostri tre personaggi di punta incarnano tre diversi bisogni umani universali: il desiderio di amore romantico, quello di riconoscimento e successo e, infine, la consapevolezza che la vita conduce alla morte. Quale opera drammatica non affronta questi temi? Abbiamo inventato una storia ambientata dietro le quinte, ma che affronta grandi temi del teatro".

Lo spettacolo è introdotto da un piccolo personaggio vestito di bianco. Chi è?

"Per noi questa figura è in un certo senso la musa del teatro, la fonte dello spettacolo. In molte opere antiche, una musa viene invocata all’inizio, ad esempio nell’Odissea di Omero. Nel nostro teatro, emerge come di sfuggita, dai corpi dei tre attori. Funge anche da narratrice senza parole, conducendo da un atto all’altro e rimanendo tuttavia enigmatica e un po’ fiabesca. Ognuno è libero di interpretare la sua presenza. Questo è esattamente ciò che vogliamo".