"Vi racconto un omicidio tra misteri e risate"

Da domani a domenica Antonello Fassari e Massimo Dapporto saranno sul palco del Bonci con ’Il delitto di via dell’Orsina’

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Una situazione paradossale, un po’ beckettiana e a tratti kafkiana. E una commedia che diverte, ma lascia anche una strana inquietudine. E’ "Il delitto di via dell’Orsina", in scena da domani a domenica al teatro Bonci di Cesena. Lo spettacolo, tratto da "L’Affaire de la rue de Lourcine" del drammaturgo francese Eugène Marin Labiche, è diretto dall’esperta Andrée Ruth Shammah e vede sul palco una coppia d’eccezione: Massimo Dapporto e Antonello Fassari.

Fassari, che spettacolo portate in scena?

"E’ un testo di Labiche, una commedia nera che racconta la storia di due signori che si svegliano la mattina dopo una notte da bagordi e non ricordano assolutamente nulla, ma per una serie di equivoci sono convinti di aver ucciso una persona".

Lei e Dapporto che personaggi interpretate?

"Due ex collegiali che non si vedono da 40 anni, si ritrovano e a stento si riconoscono. Dapporto è un borghese che cerca un titolo nobiliare, un avanzamento nella società. Io, invece, un cuoco, mandato nel prestigioso collegio grazie ai sacrifici dei genitori".

Un testo dell’Ottocento può essere ancora attuale?

"Lo spettacolo è stato riambientato nel 1940, appena prima della guerra. I due personaggi che si svegliano e non ricordano nulla danno l’idea dello smarrimento di quel periodo e allo stesso tempo un rimando al reale e all’idea che la vita non conta nulla: con grande facilità si ammazza e si cerca di farla franca". Una questione di integrità morale?

"Vogliono uscire puliti: è questa l’amorale del racconto. Un ritratto abbastanza feroce, una critica soprattutto all’alta borghesia francese che cerca sempre di mantenere la facciata, una rispettabilità che di fatto non c’è. Oggi l’aspetto dell’apparenza borghese esiste, ma non è più forte come allora. Rimane però il fatto di compiere delle malefatte e di farla franca, qualcosa che riguarda ancora tanto la classe dirigente e la politica". Cosa rimane al pubblico? Un sorriso o un interrogativo?

"Entrambi. Le persone sono contente di vedere uno spettacolo leggero, ma che alla fine non lo è più di tanto. Poi, è una comicità diversa da quella solita".

Cioè?

"Oggi, la comicità è basata sul one-man-show, che ha riferimenti molto televisivi; si ride soprattutto della cronaca, dell’immedesimazione con il reale e con il quotidiano. Nello spettacolo, invece, c’è una comicità di situazione, tipica del teatro. Si ride di una circostanza lontana, c’è uno straniamento dello spettatore e rimane l’interrogativo: ma davvero siamo ridotti in questo modo?".

Ecco, qual è la risposta?

"Probabilmente ognuno di noi ha nell’angolo della sua coscienza qualcosa di nero, di sporco e forse è lì che avviene l’immedesimazione. Molti ci hanno detto ’non so cosa farei in una situazione del genere, probabilmente cercherei di nascondere il mio delitto’".

Romano e romanista, che legame ha con la Romagna?

"Sono stato al Bonci negli anni Ottanta, quando ero più giovane, è un teatro magnifico. Da ragazzo, poi, mio papà mi portava a fare le vacanze a Rimini. Tra romani e romagnoli ci si intende moltissimo. Il termine "burino" viene dalla Romagna, dai braccianti che portavano il burro a Roma".

Cristina Gennari