Editoriale

La coop, il lavoro e gli stranieri

I numeri raccontano tutto: alle cooperative italiane mancano 30mila lavoratori. Non trovano autisti, raccoglitori di frutta, operai specializzati, ingegneri, personale per le strutture sanitarie, muratori. Una piaga che affligge tutte le realtà, a prescindere dalle dimensioni e appunto dai settori, dall’edilizia all’agroalimentare alla sanità. E così Legacoop, la casa madre, ha deciso di andare a caccia di questi dipendenti all’estero. Una resa: in Italia non si trovano. Nonostante il lavoro sia ancora merce rara. Lo ha annunciato il presidente nazionale dell’associazione, Simone Gamberini, bolognese, che ha stretto un accordo con Randstad, tra i principali attori nel panorama delle agenzie di ricerca di personale. In pratica si cercheranno e formeranno lavoratori nei Paesi europei ed extra Ue e poi saranno portati in Italia, assunti con contratti di diverse tipologie. Tra le zone più gettonate per questo reclutamento ci sono Romania, Albania, Paraguay, ma anche Perù, Brasile, India, Argentina; e si spazierà anche sull’Africa. Il protocollo d’intesa prevede un confronto con le cooperative che segnaleranno le problematiche e indicheranno le figure che non trovano in Italia. Inoltre con il ministero degli Esteri si dialogherà per cercare le strade burocratiche e più veloci per portare gli stranieri nelle regioni italiane e metterli sotto contratto. Il progetto è ambizioso e vuole quindi risolvere un problema. Bene così. Da osservatori però tutto questo lascia l’amaro in bocca: perché non si trovano italiani? Le risposte possono essere tante, da una errata programmazione della formazione alla denatalità e quindi alla carenza di capitale umano e così via. Insomma, da sola Legacoop cerca di dare risposte che lo Stato non riesce a dare per garantire forza lavoro – fondamentale – alle realtà associate. In bocca al lupo e buon lavoro. Quello che gli italiani chiedono – a parole -, ma che nei fatti spesso rifiutano.