LEO TURRINI
Editoriale
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L’ultimo rifugio tra rimpianto e memoria

E proprio qui ti torna in mente per forza quella frase. Sì, ti tornano in mente quelle parole che Marco Pantani confidò a Gianni Mura, un maestro del racconto: io scatto in salita per abbreviare la mia agonia… Eh, sì. La tragica agonia esistenziale del Pirata ha trovato riparo e rifugio, alla fine di un indicibile tormento, proprio qui. Nella piccola cappella di famiglia all’interno del cimitero di Cesenatico. Il mare non è lontano. Se vieni su a piedi camminando dalla strada di Zadina, il mare lo sentì. Lo respiri. Ne avverti il lamento remoto, che echeggia a mo’ di grido di dolore. Già. Come è stato possibile? Perché un giovane uomo nel fiore degli anni è stato spezzato, frantumato, disintegrato in questo modo crudele? Dove abbiamo sbagliato, tutti!, in quegli anni? Lo dico? Lo scrivo: forse c’è un senso di colpa collettivo, nel pellegrinaggio muto di tanti, da vent’anni, verso questa tomba. Forse, con imperdonabile ritardo, abbiamo compreso quanto sia infame l’accanimento, quanto sia irreparabile il pregiudizio. Ci sono venuto spesso, qui. È come se le ombre della pineta non lontana mi spingessero, mi accompagnassero. Vai da Marco: non lo conoscevo, l’ho incontrato due volte in vita mia, eppure mi sono bastate. Rileggo quelle parole, tremende, che adesso stanno incise su una parete della cappella. Sono la riproduzione delle righe che trovarono scritte a mano sulle pagine bianche del passaporto del Pirata. Sono un urlo estremo dal buco nero della disperazione. Lasciate stare le indagini, le archiviazioni, i processi, i sospetti, i millantatori, i mestatori. Non è questo il luogo, non è questo il momento. Ci basta ammettere che non doveva accadere. Non a Marco Pantani, non a chiunque sia preda di una fragilità intima che solo l’Amore potrebbe e dovrebbe curare. Davanti e intorno alla tomba ci sono brandelli di memoria, ricordi di emozioni, innocenti autografi, ninnoli e fotografie. C’è un piccolo grande popolo che dal 2004 si concede una sosta che è un omaggio, un rimpianto, un atto di compassione e di contrizione. Vale per tutti, quell’antico detto: nessuno muore mai davvero, fin quando ci sarà qualcuno in grado di ricordarlo. Vale per tutti, ma per Marco Pantani di più. E mi arriva il mare.