ALESSANDRO CAPORALETTI
Editoriale
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Rischio idrogeologico, la lezione del Veneto

Non è vero che di fronte ai fenomeni atmosferici sempre più estremi che questo pazzo clima ci scarica addosso non c'è niente da fare. Il clima è cambiato, sta cambiando, lo dicono fior d'esperti e ne abbiamo esempi sotto gli occhi quasi quotidianamente. Sarebbe miope negarlo o trincerarsi dietro posizioni di retroguardia. Come è innegabile che l'azione dell'uomo abbia contribuito a innescare (o accentuare) questi processi, se reversibili o meno ce lo diranno gli scienziati.

Ma è vero anche, tuttavia, che la straordinaria capacità di adattamento che l'uomo ha sviluppato in secoli e secoli, millenni, può incidere eccome. In che modo? In primis mettendo in sicurezza il territorio (quello italiano è fragilissimo ed esposto a molti rischi), realizzando opere di mitigazione del rischio idraulico o idrogeologico, adoperando l'ingegno e la tecnologia per prevenire i disastri di cui la nostra storia passata e recente purtroppo è costellata.

Ce lo dimostra l'esperienza del Veneto, dove le casse di espansione (tredici su ventitré terminate) realizzate dalla Regione dopo la catastrofica alluvione del 2010 hanno evitato che le piogge eccezionali di questi giorni combinassero un altro disastro. Il Bacchiglione non è esondato e Vicenza non è finita sott'acqua (almeno non nelle proporzioni del 2010) solo perché le vasche di laminazione aperte a monte della città hanno assorbito qualcosa come tre milioni di metri cubi d'acqua che altrimenti il fiume avrebbe riversato a valle con conseguenze facilmente prevedibili in termini di danni materiali e rischi per l'incolumità della popolazione.

Non è un dettaglio, ma è stata determinante l'opera (corretta) dell'uomo sull'ambiente. Il che non significa violentarlo come certo ambientalismo a prescindere vorrebbe far credere, né è incompatibile con la necessità di proseguire in maniera sempre più convinta sulla strada della sostenibilità. E non è un caso che il governatore Zaia e altri politici e amministratori siano tornati a chiedere un grande piano nazionale per la prevenzione del rischio idrogeologico.

Se ne parla quasi a ogni piè sospinto, come da italica abitudine, il giorno dopo di disastri e tragedie, spesso consumati, altre volte scampati, come fortunatamente in questo caso, ma poi l'argomento si perde dietro qualche annuncio o poco più. Perché è vero che c'è chi fa, costruisce opere, le progetta, le cantiera e le inaugura, ma c'è anche chi non fa, magari discute, quisquilia, rimanda, non trova fondi e alla fine non si sa mai di chi è la colpa, se non dell'onnipresente burocrazia, sempre buona come capro espiatorio, per scaricare l'onta di inefficienze che sono invece dei decisori politici. Per una volta, almeno in Veneto, qualcosa ha funzionato. È una notizia, potrebbe essere la normalità.