Editoriale

Sette giorni dopo

Una settimana fa è cominciato tutto, anche se sembra passato un secolo. Diciamo la verità: chi ci credeva ai primi allerta, l'allarme crescente, e poi, il lunedì giorno prima dell'apocalisse, chi credeva ai sindaci che lanciavano appelli anche un po’ scomposti? Era tutto vero, maledizione: anzi, peggio. Da martedì mattina prima Pesaro e Riccione (e alla fine lì è stata drammaticamente poca roba rispetto al seguito), poi Cesena all'ora di pranzo, Forlì a cena, Faenza prima di andare a letto.

A letto, vien da sorridere: chi ha dormito quella notte? Il Savio, il Ronco, il Montone, piccoli fiumi che sono diventati giganteschi diavoli, spaccando tutto, travolgendo vite e progetti. Ma non è finita qui: l'apocalisse correva, non si fermava più, la fiumana è arrivata alle porte di Ravenna e anche lì ha fatto macelli. Lugo, Lavezzola, mille altre piccole località. E non parliamo delle frane, centinaia di strade interrotte, paesi ancora isolati.

Sono passati solo sette giorni, ma più passa il tempo e più ci rendiamo davvero conto di quanto spaventosa sia stata questa marea che ci ha travolti.

E adesso? Si riparte, si ricomincia: viva la forza dei romagnoli; viva i burdel de paciug che spalano ma è sempre più difficile spalare col fango che col tempo e il caldo diventa duro come cemento; datevi una mossa Meloni e Bonaccini; cantiamo Romagna mia. Diciamo pure tutto ciò che vogliamo. Una certezza però c'è: sappiamo che sarà dura e lunga la ripartenza, ci vorrà tanto tempo. Un esempio: soprattutto in montagna, la geografia del territorio è stravolta e c'è da rifare tutto, tutto.

Coraggio, Romagna.