"Non è semplice raccontare, vorrei dimenticare. Purtroppo, però, è qualcosa che non si cancella. E come si potrebbe? Quando non riesci ad allacciare la camicetta o a metterti gli orecchini, quando non riesci a fare cose banali e quotidiane come scolare la pasta, se non in presenza di qualcuno che ti aiuti, non puoi dimenticare. E, allora, meglio volgere questa esperienza in positivo, per aiutare gli altri". La civitanovese Stefania Benedetti, 52 anni, sposata e madre di due figli, vicepresidente Anmil Macerata, ha perso quasi per intero la mano sinistra. "Me ne resta una piccolissima parte insieme al pollice. Sono una infortunata atipica, in quanto datore di lavoro e lavoratore". È successo tutto cinque anni fa. "Era un venerdì – racconta – giorno in cui avevo deciso da un po’ di tempo di smettere di lavorare alle 13, per poter passare più tempo con i miei due figli. E così è stato anche quel giorno. Il caso ha voluto, però, che mi sono ricordata di non aver finito di mettere le presenze. Così sono tornata a finire il mio lavoro. Ho visto un collega che, con un muletto, stava spostando un piano di metallo che dondolava. L’ho fermato e per evitare l’oscillazione di questa lastra rettangolare, ho messo una mano lateralmente e una sotto alla stessa. Questa doveva essere appoggiata sopra ad un’altra. Quand’era a poco distanza s’è staccata ed è caduta. La mia mano è rimasta sotto". Più che il dolore fisico, però, Stefania ha realizzato subito che era accaduto qualcosa di irreparabile. "Nell’immediato ho sentito solo un grande calore, ma sono subito stata pervasa dalla disperazione. Non sono svenuta, sono rimasta sempre vigile. Sono stata portata in ambulanza prima all’ospedale di Civitanova e, poi, a quello di Torrette. Durante il viaggio chiedevo: me la riattaccate? Riuscite a mettere insieme i pezzi? Ho capito dal loro silenzio e dai loro occhi che c’era ben poco da fare. All’una di notte sono stata operata. Al mattino la mano non c’era più. Mi sono subito sentita una diversa in un mondo di perfetti: rispetto agli altri a me mancava un pezzo. La mia vita è cambiata. C’è un abisso tra quello che ero prima e quella che sono adesso". Stefania ha messo piede in azienda solo dopo sei mesi. "Tutti i miei collaboratori sono stati splendidi, ma la forza per rialzarti la devi trovare in te stessa e in qualcosa che ti motiva, magari una bella famiglia come la mia. E così ho cercato di fare tutto quello che si può per rendermi il più possibile indipendente. Riuscire ad avere la patente speciale è stato un calvario ma, anche grazie al sostegno dell’Anmil, che prima non conoscevo, ci sono riuscita. Ora mi sposto con un’auto appositamente attrezzata. Ma ci sono tante cose che non riesco a fare da sola. Subito dopo l’incidente ho tagliato i miei capelli, lunghissimi, quasi a zero. Non volevo mettere in difficoltà mio marito nel lavarli". Stefania dice che non è ancora riuscita del tutto ad elaborare quanto è successo, ma anche che la vita non è finita. "Lo sconforto è tanto. Ho perso una parte di me, ma sono viva. E, grazie alla Regione e all’Anmil oggi sono un testimonial della sicurezza. Devi trovare la parte bella che c’è in te e andare avanti. Vivere vale sempre la pena". Franco Veroli