Chiudo gli occhi e torno al 21 gennaio ’44: lo scoppio di Montecchio

Nel 1944, di gennaio, alle 9 di sera è buio perfino in città, figuriamoci in campagna, nelle case dei contadini...

Chiudo gli occhi e torno  al 21 gennaio ’44: lo scoppio di Montecchio

Chiudo gli occhi e torno al 21 gennaio ’44: lo scoppio di Montecchio

Nel 1944, di gennaio, alle 9 di sera è buio perfino in città, figuriamoci in campagna, nelle case dei contadini e dei loro poderi distesi ai lati della strada Lunga che da va Pozzo Basso a Montelabbate, di là del Foglia. E in più siamo in tempo di seconda guerra mondiale, da un paio di settimane abbiamo lasciato Pesaro, pesantemente bombardata, è siamo sfollati dai miei nonni materni mezzadri su uno di quei poderi, Lucia e Giuseppe Bastianelli, lui "Jusfén", la famiglia "Schénie" nel gergo nel gran libro orale dei campagnoli. Analfabeti, gente diversa, dicono "je" per dire "me", "babte e mamta" per dire "ba’ e ma’", chiamano "Bionda e Bunì" la coppia di buoi che tira il loro biroccio. Indimenticabili. Alla luce di una lampada a carburo attaccata a un chiodo, loro e i miei genitori sono ancora seduti accanto al camino, col fuoco che si spegne e mio nonno che prepara la "burnigia" perché la brace resti accesa per domattina. E’ un freddo glaciale, unico rumore la legna che ogni tanto sfrigola nel camino mandando scintille su per la cappa. Il problema è che sono le 9 e 10 del 21 gennaio 1944 e a un certo punto arriva un botto primigenio, come quelli dei vulcani che svegliano: è scoppiato il deposito di mine tedesche, l’intero paese di Montecchio salta per aria (nella foto), la gente muore, in linea d’aria è distante da noi non più di 500 metri. In mutande e maglia "per sotto" con le maniche lunghe sono a letto di sopra, nella stanza sopra la stalla, la più calda col tepore delle vacche. Scalzo, con un salto da record, volo sui dodici gradini della scala, dopo che la casa ha tremato come un fuscello, la porta si è aperta e chiusa come una frustata e la lampada a carburo è caduta e si è spenta, adesso siamo tutti fuori sull’aia, laggiù è tutta una fiamma, si sentono sirene, a terra cade una polvere spessa, pezzi di roba, schegge di legno e di metallo. Proprio come un’eruzione. Se chiudo gli occhi rivedo un cielo nero con tante di quelle stelle come non ho più visto in vita mia. In mutande, scalzo e con dieci gradi sottozero. Il prossimo 21 gennaio saranno ottant’anni esatti da quella esplosione che non ebbe uguali dalle nostre parti.

f.b.