ROBERTO FIACCARINI
Cronaca

I dieci anni di Ricci. Giovanelli: "Il più lontano dalla tradizione di governo della sinistra"

L’ex sindaco a tutto campo sull’era di Matteo: "Ha pensato più all’io che al noi. E questa non è una cosa di poco conto per chi ha la nostra cultura politica. Altro cambio radicale sugli eventi, a discapito dei temi che ci caratterizzano".

I dieci anni di Ricci. Giovanelli: "Il più lontano dalla tradizione di governo della sinistra"

I dieci anni di Ricci. Giovanelli: "Il più lontano dalla tradizione di governo della sinistra"

Oriano Giovanelli, qual è il suo giudizio sull’era Ricci?

"Prima di tutto mi faccia fare i complimenti a Ricci per aver portato a termine il mandato e gli auguri per il suo futuro politico e personale. E’ presto per valutare la sua esperienza che certo non è stata insignificante".

Una valutazione definitiva magari no, ma qualcosa si potrà dire dopo dieci anni.

"Ricci ha cambiato molto, non so se in bene o in male, il modo di fare politica in città. E’ stato concentrato sull’io e molto meno sul ‘noi’, sebbene nell’ultima parte della sua esperienza ci sia stato un timido cambio di rotta. Questa cosa dell’io e del noi è fondamentale per una lettura di un’esperienza di sinistra. Ricci, come Renzi a livello nazionale, è quello che si è allontanato di più dalla tradizione di governo di sinistra di Pesaro".

Non è una valutazione da poco. E qual è stato il risultato?

"Di positivo c’è che questo suo modo di interpretare il ruolo gli ha consentito di stare sull’onda di una politica fatta di immagine e di vincere due volte largamente le elezioni, con un cambio anche veloce di riferimenti politici. In negativo c’è che questo ha aggravato la perdita di ruolo del suo partito, il Pd, e in generale il ruolo dei partiti e dei corpi sociali. In termini politologici si chiama disintermediazione. Tutto ciò ha aggravato la crisi del Pd".

Sarebbe il contrario della ‘città condivisa’, cioè il titolo del libro dedicato ai suoi anni da sindaco di Pesaro?

"Io, pur essendo stato il primo sindaco eletto direttamente, mi sono mosso nel solco classico proprio della sinistra, dove contano il partito, le sezioni, il ‘noi’, il rispetto del consiglio comunale. Non credo di aver mai piegato nulla a mie ambizioni personali, in questo caso non credo che si possa dire altrettanto".

Nessuna intenzione di fare l’avvocato di Ricci: ma va detto che è la politica a essere cambiata in questi anni. O no?

"In parte è un segno dei tempi, sì, ma così si finisce per indebolire i capisaldi su cui fondare la cultura di governo della sinistra e favorire un approccio tipico della destra. Non a caso Renzi strizza l’occhio a Forza Italia. Per fortuna Ricci no".

Quali le altre conseguenze dell’eccessivo personalismo?

"L’altra conseguenza è una struttura amministrativa dalla quale avverto segnali di crisi anche molto preoccupanti. Quanto sia stato importante per me lavorare sulla macchina comunale è noto, mentre in questi anni si è aggravata la sofferenza della struttura amministrativa. Prova ne sia che di fronte a una massa di finanziamenti mai vista prima, la capacità di progettare e concludere le opere è stata abbastanza scarsa. Tempo fa avevo posto un obiettivo minimo, cioè chiudere almeno due cantieri: la circonvallazione di Muraglia e il vecchio palas. Ci arriviamo per il rotto della cuffia. Ma questo è solo uno degli aspetti della crisi della struttura professionale".

Grande quantità di fondi sulla città: quanto è merito di Ricci e quanto invece è il beneficio generalizzato grazie ai fondi europei, il Pnrr in particolare?

"Da 7-8 anni ci si è resi conto che le politiche europee di austerità, dal patto di stabilità in poi, andavano attenuate, e sono stati messi in atto correttivi importanti. In buona parte i finanziamenti derivano da questo presupposto. Poi c’è stata la capacità della amministrazione di attirare queste risorse".

Sugli eventi c’è poco da rimproverare a Ricci, o no?

"Questo è un altro aspetto in cui si è verificato un cambio radicale, ma qui sospendo il giudizio. Mi riferisco allo sforzo immane nell’organizzazione di eventi sempre più complessi. In passato per noi la priorità è stata sempre indirizzare le risorse verso i settori educativi e sociali le strutture culturali: è vero che in questi dieci anni non sono andate in sofferenza, come ha detto lo stesso Ricci, ma hanno smesso di essere le parole chiave su cui qualificare la città. Secondo me, invece, devono stare davanti, in una cultura di sinistra devono stare sugli scudi".

E come va la cultura nell’anno della capitale della cultura?

"Ok la capitale della cultura ma anche qui siamo al binomio cultura-eventi, la cultura è un’altra cosa. Poi per dare una giudizio completo bisogna sapere alla fine che beneficio ne trarranno le strutture culturali non effimere: i teatri, la biblioteca San Giovanni, la biblioteca Oliveriana, la Bobbato, la Fondazione Rossini, il Rof, la Pescheria e via dicendo. Sono loro i motori della cultura vera pesarese".

Ricci dice di aver centrato l’obiettivo ‘Pesaro nazionale’, cioè di far uscire Pesaro dal contesto provinciale. Le sembra così o è una percezione che abbiamo noi dall’interno della città?

"Pesaro provinciale non si può sentire, Gianfranco Mariotti se potesse tirerebbe giù tutti i santi davanti a un’affermazione del genere, per non dire della Mostra del Cinema o degli artisti che segnano il nostro spazio urbano. É vero che c’è stato un grande lavoro con buoni risultati negli ambienti giornalistici e istituzionali nazionali. Lì Pesaro ha una visibilità maggiore e anche positiva. Quanto questa sia una cosa acquisita per motivi di reale cambiamento della città o quanto sia stata una capacità innegabile di venderla è un tema che va approfondito. Riassumendo: è un fatto effimero o strutturale?".

Che il pil turistico cittadino sia aumentato risulta anche a lei, come dice Ricci?

"Mi pare di capire che gli albergatori abbiano visioni diverse, ma forse c’è un fondo di verità sull’uno e sull’altro fronte. Pesaro capitale della cultura sicuramente muoverà qualcosa, ma i capisaldi economici della città restano quelli di sempre. Un ultimo giudizio vorrei darlo su un altro aspetto, le società partecipate".

Marche Multiservizi?

"Non solo. L’assenza della politica nella gestione delle nostre partecipate è un fatto evidente e grave. L’errore è non aver considerato Marche Multiservizi e Aspes come due grandi strumenti fondamentali per l’erogazione di servizi pubblici di primaria importanza per i cittadini e il territorio. Troppo spesso sono state usate per fare cassa o per chiudere falle dove il Comune non sarebbe riuscito ad arrivare".

Ultima battuta sul candidato sindaco Andrea Biancani. Lei disse che a lui manca una visione generale e rischia di essere il catalizzatore di una serie di visioni particolari. La pensa ancora così?

"Ho parlato con lui, a me umanamente piace molto, e gli ho chiesto di brutto: quanto sei disponibile a farti aiutare? L’ho trovato molto consapevole non solo dei suoi pregi ma anche dei suoi limiti. Ma sono limiti che si possono colmare. Anzi, spero che lui lasci da parte l’io per tornare di più al ‘noi’".