La tradizione musicale italiana con la chitarra di Della Chiara

La tradizione musicale italiana  con la chitarra di Della Chiara

La tradizione musicale italiana con la chitarra di Della Chiara

di Claudio Salvi

La tradizione musicale italiana rivissuta attraverso le opere di grandi autori del Novecento in scena domani sera (ore 21), al Teatro Sperimentale per l’appuntamento della Stagione dell’Ente Concerti. Sul palco la FORM- Filarmonica Marchigiana diretta da Diego Ceretta con solista il talentuoso chitarrista pesarese Eugenio Della Chiara.

Della Chiara, ci parli del repertorio di questo concerto e di questo “suono italiano“.

"I due fili conduttori del concerto sono sicuramente le idee di neoclassicismo e riscrittura. Nella prima parte del programma Galante, nel suo “Orfeo e le Sirene“, si confronta con un mito tratto dalle “Argonautiche“ di Apollonio Rodio: siamo di fronte alla classicità greca filtrata dall’ellenismo. Castelnuovo-Tedesco invece si ispira, per il suo Concerto op. 99, alle forme classiche di fine Settecento. Nella seconda parte troviamo poi due vere e proprie riscritture di musiche di Domenico Scarlatti – da parte di Casella – e di Pergolesi e suoi contemporanei, trasfigurati dal genio di Stravinskij".

Quale è secondo lei il periodo italiano più fecondo e felice dal punto di vista compositivo?

"A mio parere il Settecento, un secolo che comincia da Pergolesi e finisce con Cimarosa, passando per Vivaldi, Scarlatti padre e figlio e tanti altri. Senza dimenticare Porpora, che faceva furore a Londra, e il suo rivale Händel formatosi in Italia. Lo stesso Mozart visse esperienze formative fondamentali nel nostro Paese, e toccò la perfezione nelle sue opere italiane".

Chitarrista talentuoso e amante della musica cameristica. Che effetto le fa questa volta suonare con un’orchestra?

"Credo ci siano due modi di vedere il lavoro del solista con orchestra: il primo è quello di pensare di avere qualche decina di persone al proprio servizio, e sinceramente questa prospettiva non mi interessa neanche un po’. Mi piace molto di più pensare di star facendo musica da camera insieme a tante altre persone, con cui alla fine si trova una convergenza nella figura del direttore".

C’è un problema di “balance“ in questo tipo di esibizioni, ovvero di volumi tra il suo strumento e il suono dell’orchestra? E’ anche questo un aspetto da affrontare?

"C’è sicuramente un problema di balance, a cui si può ovviare con tre accorgimenti. In primis con una scrittura accorta: il compositore deve cercare non sovrapporre mai alla chitarra masse sonore eccessive. In secondo luogo è indispensabile la sensibilità del direttore: in questo senso ho trovato in Diego Ceretta un prezioso aiuto. Infine credo che sarebbe miope trascurare le possibilità offerte dall’amplificazione: con i mezzi attuale è possibile farne uso lasciando il suono dello strumento praticamente intatto".

La diverte il suo ruolo di direttore artistico?

"Tantissimo. Da quando dirigo MUN non ho mai programmato un concerto che io stesso non avessi voglia di ascoltare: alla fine la chiave di tutto è questa, ascoltare. Ai miei alunni in conservatorio dico sempre che per suonare almeno “da 6“ bisogna ascoltare “da 10“: quando manca la passione per l’ascolto – di sé e degli altri – la musica rischia di diventare solo sterile ginnastica delle dita".