Mafia e abusi, per non dimenticare. A Fossombrone testimoni e racconti

Evento all’istituto di istruzione superiore Luigi Donati, con un parterre tutto femminile, tra cui prefetto, questore, direttore della casa di reclusione e comandante della polizia penitenziaria. Pioggia di domande dagli alunni.

Mafia e abusi, per non dimenticare. A Fossombrone testimoni e racconti

Mafia e abusi, per non dimenticare. A Fossombrone testimoni e racconti

Ieri mattina all’Istituto di istruzione superiore Luigi Donati in occasione della "Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie" si è tenuto un incontro in aula magna. A parte il sindaco Massimo Berloni, il parterre è tutto femminile, col prefetto Emanuela Greco, il questore Francesca Montereali, il direttore della casa di reclusione di Fossombrone Daniela Minelli e la comandante della polizia penitenziaria Marta Bianco. Ma soprattutto ci sono i ragazzi del Donati, attenti e partecipi, autori di puntuali interventi che scandiscono l’ordine delle testimonianze.

Come tutti i memoriali, anche questo rischia di diventare retorico e protocollare. Rischio scansato grazie soprattutto alla partecipazione attiva dei ragazzi del Donati e ai ricordi di vita professionale messi in campo dalle relatrici, donne di tempra tutte quante. Nei loro racconti la carne e il sangue della lotta alla mafia, e il sangue spesso è tutt’altro che metaforico. "A un certo punto, ero vice capo di gabinetto a Milano, mi chiamano dal ministero e mi dicono che devo andare giù a Vibo Valentia perché c’era bisogno di un’esperta. Da Milano a Vibo l’impatto non fu allegro. La prima cosa che mi disse il prefetto fu "lei in quel bar non deve mettere piede e neppure in quel negozio… ". In pratica potevo uscire solo coi colleghi. Una volta, era la vigilia di Natale, mi chiamarono d’urgenza i carabinieri perché un signore vittima dell’usura mafiosa voleva buttarsi da un ponte. Riuscii a dissuaderlo, ma ci vollero due ore buone. Perché la mafia questo fa, tra le altre cose, è capace di indurre le persone al suicidio… ". Toccante anche la testimonianza del questore, Francesca Montereale: "Il mio primo contatto con la mafia lo ebbi all’Istituto superiore di polizia. Lì ho conosciuto Alessandro Giuliano, il figlio di Boris Giuliano, il dirigente della mobile di Palermo ucciso con 7 colpi di pistola da Leoluca Bagarella. Dopo la scuola mi destinano a Trieste e in quella città ho dovuto vivere una giornata tremenda: fu quella domenica. il 23 luglio 1992, in cui una mia collega entrò piangendo in ufficio dicendomi che alla radio aveva sentito che avevano ucciso suo fratello: lui si chiamava Eddie Walter Cosina e aveva accettato di trasferirsi da Trieste a Palermo come membro della scorta di Paolo Borsellino… Insieme a questa ragazza andiamo da sua madre e con lei trascorriamo tutta la notte. Sono ricordi che non puoi far uscire dalla mente…".

Ma come si combatte la mafia? "Seguendo i soldi", sottolinea Emanuela Greco. E rispettando le regole, anche. Perché la mafia prospera quando alla cultura delle regole si sostituisce quella del favore e del chiudere un occhio.

a. bia.