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Paolo Bonolis e il patriarcato: come niente fosse
E poi c’era Paolo Bonolis. Chi e perché l’abbia chiamato a presentare Mattarella, non si sa. Ma il ruolo è il suo. "Sono tornato in Rai, dopo anni", dice, e questo sarà il motivo. Di certo Bonolis è uno che la cultura ce l’ha. Le battute, anche ’alte’, le fa. Anche basse.
Canta "Stand by me", e se la cava (anche se poco prima ha scambiato i timpani per le batterie). Idem quando recita tre o quattro pezzi di poesie cardine della letteratura italiana, per spiegare ai ragazzini di oggi che lui (63enne) quei versi li sa a memoria perchè a scuola, ai suoi tempi, le poesie si imparavano a mente, mica come ora, che apri lo smartphone.
Grande Bonolis. E’ uno che fa ridere ma insieme svela che della contestazione del patriarcato, lui, non è che si è accorto più di tanto. Oppure se ne frega. Chiama la direttrice dell’orchestra Olimpia "signora Perrotta", e lei lo rimbrotta: "Direttrice". E lui: "Ma Perrotta resta". Certo, non è che nel frattempo le hanno cambiato cognome. Tartassa l’arcivescovo Salvucci e il vescovo Andreozzi con le battute sul sesso, due o tre di fila. Apprezza una delle orchestrali: "E’ sexy". Gelo. Vede gli effetti speciali del filmato "The Human Cells Atlas", dice "E’ la storia dell’uomo, dalla nascita..." e lui precisa: "Mio babbo e mia mamma però si sono divertiti di più per farmi nascere". Altro gelo. Accoglie il povero Riitano, chiedendogli prima che inizi l’intervento: "Quanto dura?". Ma sì, tutte provocazioni, amichevoli. Bonolis uno di noi. Basta non prenderlo sul serio.
ale.maz.