Un vero faccia a faccia con la Peste Nera

L’Università di Urbino sta indagando sul caso di Genova, quando a metà Seicento morirono in poco tempo 55mila persone

Un vero faccia a faccia con la Peste Nera

Un vero faccia a faccia con la Peste Nera

Nel XVII secolo la Peste Nera di manzoniana memoria flagellò l’Italia e l’Europa. A Genova scoppiò in tutta la sua virulenza nel 1656, in arrivo da Napoli, dove era approdata dalla Sardegna, diffusa dalle pulci dei ratti che a quel tempo erano ovunque e che si intrufolavano nelle navi in cerca di cibo. A Genova morirono in breve tempo più di 55.000 persone. I nobili vennero sepolti nelle chiese, tutti gli altri gettati in fosse comuni.

Una storia tragica che è tornata di attualità nel 1989, durante un’esplorazione speleologica, quando per la prima volta alcuni studiosi si sono avventurati all’interno delle mura trovandosi di fronte ad una montagna di scheletri perfettamente conservati. Ma solo nel 2017, dopo un incontro casuale tra Stefano Saj del Centro Studi Sotterranei di Genova e Michele Betti dell’Università degli Studi di Urbino, si è iniziato a progettare uno studio dedicato alla comprensione di quello che era accaduto là sotto. E finalmente nel 2023, passata la pandemia dei nostri tempi, il progetto è decollato in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica, il Comune e l’Università di Genova.

"Accompagnato da due soci del Gruppo Speleologico Urbinate, Enrico Maria Sacchi e Michele Magnoni" ci racconta Michele Betti "sono partito alla volta di Genova per calarmi nel deposito archeo-osteologico della Spianata dell’Acquasola, una serie di cunicoli situati a circa 10 metri di profondità. Il progetto prevedeva il recupero di campioni, femori e teschi, per determinare l’alimentazione e la provenienza delle vittime conservate in questo ossario e confrontare il ceppo del bacillo Yersinia Pestis (ancora presente nei reperti) con quello della peste di Milano e definire in maniera scientifica l’esatta provenienza della Peste Nera".

Una sorta di viaggio agli inferi. "In effetti, dopo una discesa su corda di 10 metri ci siamo trovati catapultati in una scena da film horror. Decine di migliaia di femori, teschi e vertebre che ostruivano quasi completamente i cunicoli. Un’enorme distesa di ossa, non come quelle di Napoli o Parigi, ma nicchie, mura e pavimenti completamente ricoperti da ossa mescolate al fango. Con noi e Stefano Saj c’erano Dino Radi del Ministero per i Beni Culturali, Rita Foglia del Centro Studi Sotterranei di Genova e Francesco Faccini dell’Università di Genova.

La reazione?

"A me erano già capitate esperienze simili per cui ero più pronto, ma, notando in altri colleghi un certo smarrimento, ho riportato l’attenzione sul motivo della nostra missione, ovvero campionare e selezionare i reperti più significativi, anche se per metabolizzare tutto ciò non basta una notte di sonno. A quel punto, sotto la supervisione del Funzionario Antropologico abbiamo proceduto a documentazione, prelievo e schedatura dei reperti e dopo circa 5 ore siamo riemersi alla luce del sole per portare nei giorni successivi il materiale all’Università di Urbino e farlo analizzare".

Con quali esiti?

"I risultati preliminari mostrano una serie di patologie dentali (carie da contatto e da malnutrizione), la presenza di metalli pesanti (mercurio e piombo) nella matrice ossea oltre ad una statura stimata intorno al 1,8 metri, inconsueta per il tempo. Le analisi sono ancora in corso e aspettiamo anche i risultati sul ceppo del bacillo per trarre le conclusioni. In ogni caso, si tratta di una indagine preliminare che ci servirà per valutare la fattibilità di futuri progetti di ricerca più ampi e strutturati riguardanti l’intero deposito osteologico ipogeo della Spianata dell’Acquasola".

Tiziano V. Mancini