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Ravenna, 31 maggio 2022 - Orazio Tasca, "il telefonista". Angelo Del Dotto, "la sua ombra". E Alfredo Tarroni, "la mente". Tre gli imputati, una identica richiesta di condanna: ergastolo. Del resto nel primo pomeriggio di ieri, dopo quasi quattro ore di requisitoria, il pm Marilù Gattelli li ha inquadrati, "oltre ogni ragionevole dubbio", quali autori dell’omicidio di Pier Paolo Minguzzi, il 21enne carabiniere di leva a Bosco Mesola, nel Ferrarese, sequestrato durante una licenza a scopo di estorsione (300 milioni di lire), zavorrato a una pesante grata e gettato nel Po di Volano la notte del 21 aprile 1987 mentre rincasava dai suoi familiari, facoltosi imprenditori del settore ortofrutticolo di Alfonsine, dopo avere accompagnato la fidanzata. Nella richiesta del pm, figura anche la trasmissione atti per falsa testimonianza per un carabiniere all’epoca in servizio in zona e l’invito rivolto alla corte d’assise di Ravenna per valutare analoga decisione anche per un altro militare dell’Arma, all’epoca alto ufficiale e ora in congedo. Alla sbarra per quello che è stato presentato come uno dei cold case più antichi d’Italia, ci sono due ex carabinieri all’epoca in servizio alla caserma di Alfonsine: Tasca, 57enne originario di Gela (Caltanissetta) oggi residente a Pavia; e Del Dotto, 58enne di Palmiano (Ascoli Piceno). E infine c’è l’idraulico del paese, il 66enne Tarroni. "Sono trascorsi 35 anni" ha esordito il pm prima di sottolineare il "dolore di una famiglia che continua nel tempo" e al quale "siamo chiamati a dare riposta". Nessun indugio sul senso degli elementi raccolti nell’indagine: "Non vi è spazio a letture alternative: da altre piste non è arrivato nessun risultato". E invece la pista che ha condotto ai tre, si è rilevata ricca di elementi, a partire dalla scelta dell’obbiettivo: "Pierpaolo era il più piccolo della famiglia, non aveva figli, usciva ...
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