Aggressioni al Diagnosi e cura: "Gli infermieri hanno ragione. Il servizio deve tornare in città. Ma abbiamo pochi spazi"

La direttrice dell’Ausl apre al dialogo con gli operatori di Correggio che lamentano insicurezza. E ai pediatri, che hanno criticato i Cau: "Pronti a sperimentare con loro le Case di comunità".

Aggressioni al Diagnosi e cura: "Gli infermieri hanno ragione. Il servizio deve tornare in città. Ma abbiamo pochi spazi"

Aggressioni al Diagnosi e cura: "Gli infermieri hanno ragione. Il servizio deve tornare in città. Ma abbiamo pochi spazi"

Da una parte gli infermieri del servizio Diagnosi e cura di Correggio che subiscono continue aggressioni dai pazienti psichiatrici. Dall’altra i pediatri, preoccupati per i nuovi Cau, in cui mancano le competenze per affrontare i problemi dei più piccoli. I due temi sono all’ordine del giorno sul tavolo dell’Ausl.

Direttrice Cristina Marchesi, partiamo da Correggio. Certi racconti degli operatori fanno paura...

"I problemi sono due, diversi. Il primo è dov’è collocato oggi il Diagnosi e cura, che non influisce direttamente sul problema delle aggressioni. Queste purtroppo avverrebbero anche se il servizio fosse a Reggio e dipendono dalla tipologia del servizio, così come accade al pronto soccorso. In un momento come questo tra l’altro, le aggressioni sono all’ordine del giorno anche in reparti dove non erano mai avvenute. E’ l’eredità che ci ha lasciato la pandemia. Su questo noi lavoriamo con il servizio di rischio clinico".

Ma gli operatori non parlano di questo. Chiedono piuttosto di non tenere il servizio psichiatrico a Correggio.

"Innanzitutto bisogna capire perché è a Correggio. La scelta risale al periodo della spending review di Monti: la stretta sui finanziamenti ci aveva convinto a utilizzare due reparti, appena ristrutturati, dell’area vecchia dell’ospedale di Correggio. Per questo il servizio trasferito lì. Prima, era in viale Risorgimento nella palazzina gialla in una condizione intollerabile: c’erano stanze senza bagno".

Ma ora gli operatori si sentono troppo lontano dalle forze dell’ordine. Gli interventi arrivano in ritardo.

"Chiaro che a Correggio non c’è la Questura, ma solo la caserma dei carabinieri, con cui noi abbiamo già accordi. Ma è evidente anche a noi che il posto giusto sarebbe Reggio, anche per la nostra organizzazione".

Questo significa che siete disposti a cercare una soluzione alternativa?

"L’impegno a cercare una collocazione a Reggio c’è. Non c’è ombra di dubbio che vada fatto. Il problema è che il Pnrr stanzia finanziamenti solo per Case di Comunità e Cau, ma non per gli ospedali se non per l’anti-sismica. Il problema è il risiko degli spazi".

Voi eravate a conoscenza della situazione raccontata?

"Certamente. Diciamo che è un servizio storicamente complicati. Sicuramente noi siamo molto riconoscenti agli operatori del Diagnosi e cura per la loro scelta, l’azienda è consapevole delle gravi difficoltà che vivono in quel servizio. Fortunatamente ci sono persone che la vivono come una missione, compiendo scelte importanti e di alto valore sociale".

Capitolo pediatri. Dicono che i nuovi Cau non sono preparati per curare i minori.

"I Cau nascono per sgravare i pronto soccorso dai codici bianchi. Che già non dovrebbero andare al pronto soccorso, e perché lo fanno? Perché le persone ora sono prese dalla frenesia moderna e vogliono risposte subito".

Ma i Cau stanno funzionando?

"Io credo proprio di sì. In questi giorni molto intensi causa del picco influenzale e delle giornate di ferie dei medici di famiglia, abbiamo una media di 120 accessi al giorno a Reggio, e di 35 in quello di Correggio".

Però certe professionalità non si sostituiscono.

"No, questo servizio non sostituisce né il lavoro dei pediatri nè dei medici di medicina generale. Certo che mancano le competenze specialistiche, hanno ragione i pediatri. Loro pensano a una Casa della salute pediatrica, dove mettere assieme tutti gli specialisti delle varie branche pediatriche. E l’idea a noi piace: realizzare un luogo così che faccia anche visite specialistiche di primo livello, che magari possa coprire anche alcune ore festive".

Ma dipende dalla Regione o dall’Ausl?

"Un po’ da tutte e due, ma ne abbiamo già parlato con la Regione. E’ chiaro che non può essere uno per tutta la provincia, non basterebbe. Si può iniziare in un distretto e poi, se funzion, a espandere il servizio. In ogni caso ripeto: noi siamo interessati all’idea".

Saverio Migliari