(Segue dalla prima) Oppure: l’Esercito attuale non ha più i numeri di quello di leva (quello buono per ogni calamità) e i reparti superstiti vengono addestrati per fare altro. O ancora: in caso di vera emergenza, le armi lunghe in un posto così affollato a che servono?
Molto altro ancora dice l’appuntamento in programma oggi al Mauriziano. Un importante gruppo di ricostruzione del periodo napoleonico avrebbe dovuto rievocare – tra il fumo delle armi ad avancarica – la battaglia del Rodano del 1814. Uno spettacolo di storia vivente. E una pagina di cui si sa poco, a parte la palla di cannone rimasta conficcata nella facciata della chiesa di San Maurizio. Niente. La scaramuccia – che in luoghi come Marengo, Sarzana o Portoferraio è di casa – qui non si può fare. Mancano i permessi. Si può visitare il campo, ascoltare il coinvolgente racconto dei reenactors – tra storia e curiosità filologiche – ma la rappresentazione no. L’anno prossimo.
Va detto, a scanso d’equivoci, che in queste ricostruzioni non c’è alcun compiacimento per le armi; gli interpreti indossano l’uniforme quasi con devozione verso la memoria delle generazioni che si sono trovate a dover combattere, in gioventù, tra indicibili sofferenze. E allora? Allora in nome di questa avversione per la storia si potrebbero vietare Omero o Giulio Cesare – troppo guerreschi – o stralciare le strofe antiaustriache di Mameli. Ma intanto, il motto: "fedele in pace" a Reggio basta e avanza.
Andrea Fiori