Impegnarsi in prima persona per la pace, anche quando implica rischi. Ma don Giuseppe Dossetti, parrocco di San Pellegrino e del Buon Pastore, non si è fatto fermare da essi e pochi giorni fa si è recato in Israele e Cisgiordania, per portare il conforto della fede e dell’amicizia ad alcuni amici mentre è ancora in corso il conflitto scaturito dai vili attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso.
Nel suo viaggio don Dossetti è stato a Gerusalemme, a Betlemme e nella zona di Ramallah, dove ha visitato anche il monastero fondato dall’illustre e omonimo zio, Padre della Costituzione e poi sacerdote e apostolo di pace.
Don Dossetti, come è maturata l’idea del suo viaggio?
"Per portare solidarietà ai miei amici arabi ed ebrei, per dire loro che non li dimentichiamo". Perché ha deciso di affrontarlo, e in un momento certo non facile?
"Perché le montagne di odio e sfiducia, presenti da tempo, sono ora a livelli tali da far disperare che sia possibile anche solo la convivenza. Volevo portare un piccolo mattoncino di pace per favorire il riconoscimento reciproco e contrastare le ideologie radicali delle due parti. Il nostro piccolo viaggio è andato in quella direzione".
Quando ha comunicato ai parrocchiani la sua idea, come han reagito?
"C’era un po’ di preoccupazione, qualcuno temeva anche che potessi essere arrestato, altri avevano timore per la mia sicurezza".
Invece è andato tutto bene?
"Sì, non abbiamo corso pericoli ma il clima è di grande tristezza. Gerusalemme e Betlemme sono vuote, non ci sono pellegrini, né turisti. L’economia di tante famiglie è ridotta al lumicino. Gli alberghi e i ristoranti sono chiusi, i coloni imperversano nei territori in modo aggressivo e sono stati sospesi i permessi ai palestinesi per lavorare in Israele. Peraltro non è che lì stiano meglio…".
Sotto quali profili?
"L’economia soffre per mancanza di manodopera e alcune aziende si stanno trasferendo all’estero. L’emigrazione tenta non più solo gli arabi, ma anche gli ebrei e questo mette in discussione la stessa ideologia sionista, identitaria in Israele. Sta venendo meno il mito della sicurezza, la sacralità dell’esercito che era visto come l’angelo custode degli ebrei minacciati". I suoi amici ebrei che dicono?
"Sono una coppia italiana, vivono in Israele da 20 anni. Il marito è convinto che si arriverà ai 2 popoli e 2 Stati, la moglie ha molta meno fiducia. C’è la sensazione che il 7 ottobre, e la successiva reazione, abbiano messo tutti in trappola. Si aspetta la caduta di Netanyahu e l’ascesa di politici più lungimiranti e moderati. Ma c’è anche il timore, che io condivido, che il giorno in cui si arrivasse a un trattato e Israele dovesse allontanare la maggior parte dei coloni, potrebbe scoppiare la guerra civile tra essi e l’esercito israeliano".
Dalla parte palestinese invece?
"Resistere e sopravvivere, questo è il sentimento prevalente. In attesa di qualche leader carismatico che si staglia all’orizzonte ma ancora non è in piena luce".
E lei come la vede?
"Sono pessimista. Occorrerebbe superare la logica della reciproca distruzione. Le parti devono incontrarsi e devono essere sensibilizzate a parlarsi, superare il muro di sfiducia. Non c’è altra strada".
Muoversi tra Israele e territori occupati è stato difficoltoso?
"Non particolarmente, anche perché abbiamo percorso, con autista arabo, le strade riservate ai palestinesi e non quelle per i coloni. Abbiamo avuto l’opportunità di recarci a Ein Arik, il monastero fondato da mio zio. E’ stata una visita molto importante per me".
Prima di partire ha parlato del suo viaggio con qualcuno a Reggio?
"Con Graziano Delrio, che mi aveva accompagnato in altre occasioni. Devo dire che era un po’ preoccupato per me, mi ha consigliato di rimandare. Non l’ho ascoltato; sono circondato da medici un po’ allarmisti. Ma non potevo aspettare".
Tornerà laggiù?
"Non appena sarà possibile vorrei organizzare un pellegrinaggio. Ma ora è soprattutto il momento di pregare per questi popoli".
Cosa l’ha toccata di più nel suo viaggio?
"Vedere i luoghi santi desolatamente vuoti".
Delle divisioni, anche pesanti, che ci sono in Italia su quanto sta accadendo, e Reggio non fa eccezione, che valutazione dà?
"Il 7 ottobre sono avvenuti fatti estremamente atroci, a cui Israele sta rispondendo con una carneficina. Tuttavia il nostro compito è incoraggiare le parti ad accettarsi; questo non vuol dire ignorare che ci sono oppressi e oppressori, e che da ambo i lati sono tuttora commessi atti di violenza inaccettabili. Ma penso siano gravissimi e dannosissimi fatti come l’esclusione delle donne ebree da alcune manifestazioni per l’8 marzo o aver impedito al direttore de La Repubblica di parlare all’Università. Si tratta di atti di negazione dell’altro per la sua appartenenza, quindi atti razzisti".