BENEDETTA SALSI
Cronaca

Donatella Prampolini: "L’emblema di tutti gli errori?. Il mercato coperto di oggi. Pensare che l’avrei preso io"

La vicepresidente nazionale di Confcommercio traccia un bilancio a dieci anni dalla sua candidatura "È ora di cambiare ricette, bisogna dare un taglio netto col passato. L’alternanza farebbe bene".

Guarda le sorti della città dalle vetrate della sua casa di Montericco di Albinea, Donatella Prampolini, imprenditrice nel mondo della grande distribuzione con oltre venti punti vendita a marchio Realco e Sigma ("il ruolo che mi piace di più, secondo solo a quello di nonna"). In tasca un curriculum infinito: oggi, tra le varie cariche, è anche vicepresidente nazionale di Confcommercio, commissario straordinario a Siracusa, delegata a Messina.

Quella grande dimora in cui trova rifugio tra le sue trasferte romane e siciliane era stata progettata negli anni Settanta, ironia della sorte, per la famiglia Lamborghini (quelli delle auto) dal fratello di Romano Prodi, l’architetto Quintilio, scomparso nel marzo 2023. E da lì, Donatella Prampolini aveva lanciato la sua candidatura a sindaco, con il centrodestra, esattamente dieci anni fa; quando venne eletto per la prima volta Luca Vecchi. Ora, quasi a chiudere quel cerchio, fa il punto su questi due mandati e sulla città del domani.

Prampolini, come vede Reggio dal suo osservatorio?

"Spesso sono fuori per lavoro. Ma quando torno noto che i problemi che avevo sollevato nel 2014, alla mia candidatura, non sono cambiati. Anzi si sono acuiti".

Quali?

"Sicurezza, viabilità, servizi, accessibilità al centro storico".

Partiamo dal centro storico...

"Per onestà bisogna sottolineare che le stesse problematiche le vedo in tutta Italia. Desertificazione, viabilità difficile, problemi di convivenza ci sono dappertutto. Poi ci sono città e paesi che riescono ad affrontarli meglio. Qui invece vedo sempre le solite ricette: forse andavano bene anni fa, non ora".

Partiamo da un errore, a suo avviso.

"Be’, noi siamo sempre stati scettici sulla Ztl. Non come preconcetto in generale, ma nel contesto di una città come Reggio funge certamente da deterrente. Reggio non è Milano, Roma, Verona o Trento. Lì ci sono attrazioni storiche, culturali, economiche e anche tanti servizi: parcheggi, silos... A Reggio no. È ovvio che bisogna trovare ricette nuove per rilanciare l’esagono".

Quali sarebbero le sue ricette?

"Vuole un esempio emblematico? Il mercato coperto. Non voglio mettere il dito nella piaga, ma già a suo tempo dicevo che la scelta di posizionare lì Coin era sbagliata. E adesso è ulteriormente e tragicamente sbagliata. Metterci dentro un’accozzaglia di insegne più o meno note, non indicative di reggianità e cultura, non può essere una soluzione. Lì serviva un contenitore moderno che sapesse guardare al passato, con all’interno gli operatori storici di Reggio, che – agevolati – avrebbero potuto raddoppiare i loro punti vendita. E così i pochi visitatori (va detto) che vengono in città avrebbero avuto un posto dove sedersi e cogliere il meglio di questa terra".

Alla base della scelta odierna però ci sono stati anche i milioni di debiti lasciati dal fallimento delle cooperative che lo hanno ristrutturato.

"È stato il peccato originario: quando il Comune ha espropriato i locali ai commercianti del vecchio mercato coperto – perché di esproprio parliamo –, lì avrebbero dovuto pensare a un luogo di ritrovo con prezzi calmierati, ritrovi, musica dal vivo magari nella balconata superiore".

Sembra avere le idee chiare.

"Certo. Nel 2020, appena prima della pandemia, con la mia azienda ci eravamo interessati seriamente. Avevamo un progetto concreto per ricavarne un grande caffè letterario. E c’era già anche il nome: Kaffka. Ne avremmo occupato un bel pezzo. Poi, ovviamente, volevamo portare man mano con noi qualche salumeria e altri produttori tipici reggiani. Tutto si è ovviamente fermato per il Covid. Nessuno si è fatto più vivo per un bel pezzo. Quando ne abbiamo risentito parlare c’era già l’accordo per l’attuale assetto. Tutto sfumato. Tante cose si potevano fare: abbiamo perso la seconda occasione, forse la terza andrà meglio".

Tema sicurezza, sempre più complesso. Soprattutto in zona stazione, dove residenti e commercianti ogni giorno chiedono aiuto, esasperati. Crede che ci sia un modo per uscirne?

"Ci sono zone che sono sempre state complicate, ma lì non si può mettere la testa sotto la sabbia. La stazione è invivibile c’è un chiaro problema legato all’integrazione. Non perché i migranti non siano anche risorse, ma alla base ci deve essere il rispetto delle regole. La tolleranza o addirittura il favoritismo che si è visto negli scorsi anni, non deve più avere spazio".

L’immigrazione in questa terra racconta anche di storie virtuose.

"Certo. Ci sono settori dove se non avessimo la loro manodopera saremmo nei guai, ma proprio per rispetto nei confronti dei bravi lavoratori, credo servano dei requisiti per i diritti: a partire da asili nido e case popolari. L’impostazione piagnona non fa il bene dell’integrazione".

Si potrebbe ripartire dal mondo del lavoro?

"Il mondo del lavoro è molto complicato oggi. Così come lo è quello delle cooperative, indipendentemente dalla congiuntura. Il problema non che non si trova lavoro, ma è cambiato l’atteggiamento delle persone nei confronti del lavoro stesso.

Noi vediamo chiaramente che c’è un prima e un dopo Covid: da lì è cambiato tutto drasticamente. Sono aumentati ragazzi neet (che non studiano e non cercano lavoro, ndr); è cambiato l’approccio delle persone, la loro capacità e volontà di fare la gavetta per crescere professionalmente. È cambiato tutto. Non è un problema economico, piuttosto di atteggiamenti e aspettative. Gli apprendisti al primo impiego da noi rifiutano 1.400 euro netti al mese con tutte le tutele. Non vogliono più lavorare nei weekend, in orari disagiati. Il lavoro sembra un accessorio ad altre cose che si vogliono fare nella vita. Credo andrebbe fatta una riflessione seria e senza preconcetti".

Si ricandiderebbe oggi, col senno di poi?

"La verità? Mi hanno anche chiesto di ricandidarmi a questo giro e ho detto convintamente di no".

Glielo ha chiesto il centrodestra?

"Più gruppi. Ma oggi come oggi ho un ruolo a livello nazionale, lo vivrei un po’ come tornare indietro. Io sono stata felice di aver fatto il candidato: è stato appagante e illuminante. Mi ha messo in contatto con il territorio e le sue tematiche a 360°. Ma ora mi piace il mio mestiere ed è funzionale al mio lavoro di imprenditrice".

Per le prossime amministrative però non abbiamo ancora i nomi dei candidati.

"Ho visto che ancora non c’è convergenza definitiva sui candidati di entrambi gli schieramenti. Il centrodestra credo che farebbe bene a convergere velocemente su un nome. E Tarquini è un ottimo nome, rappresenta la società civile e può pescare voti anche da chi non si rivede oggi in questa sinistra. Io lo voterei".

E a sinistra?

"Li vedo altalenanti: dopo l’elezione di Elly Schlein non si è capito bene come si siano divise le correnti; ma devono trovare un candidato che rappresenti una nuova sinistra. Non legato al passato e a ciò che ha governato la città in tutti gli ultimi anni. Altrimenti non ce la faranno".

Quindi boccia i due mandati di Vecchi?

"No, non posso dargli una piena insufficienza. Complessivamente non si sta male a Reggio. Ma, certo, avrei curato diversamente il centro storico, la viabilità (problema principale di Reggio), l’integrazione. Ma credo che le sue pecche siano anche il frutto della non-alternanza; del non potersi distaccare troppo dal solco tracciato prima di lui. Come se a farlo si peccasse di lesa maestà. Serve un taglio netto col passato. E mi auguro per la città che sia questa volta, perché l’alternanza è un grande valore".