"Dovevano dirci che Saman era in pericolo"

Ivan Bartoli, titolare dell’azienda in cui lavorava il padre, spiega: "Se ci avessero coinvolti prima, forse la storia sarebbe cambiata"

Ivan Bartoli titolare dell’azienda in cui lavorava il padre di Saman

Ivan Bartoli titolare dell’azienda in cui lavorava il padre di Saman

A Novellara, nell’area dell’azienda agricola di Ivan Bartoli, dove la famiglia Abbas ha abitato a lungo e dove per tante settimane si è cercato il corpo di Saman, ora la situazione sembra essere tornata "tranquilla". Per oltre due mesi l’area è stata presa d’assalto non solo da carabinieri, investigatori, tecnici, unità cinofile e addetti alle ricerche del corpo della ragazza e di indizi, ma anche da decine e decine di giornalisti, operatori di ripresa e fotografi, arrivati da tutta Italia e pure dall’estero per seguire "in diretta" una storia di cui si continua a parlare.

"Abbiamo vissuto un assalto mediatico davvero incredibile – spiega Ivan Bartoli, titolare dell’azienda – in un momento in cui qui si sono concentrate indagini e ricerche delle forze dell’ordine e della magistratura. Ora, finalmente, siamo tornati nella tranquillità, con la possibilità di poter vivere e lavorare in modo più sereno. Per giorni, e anche notti, abbiamo avuto la presenza di forze dell’ordine, oltre alle tante troupe giornalistiche. E’ stato troppo anche per noi, abituati a una vita di campagna, decisamente più tranquilla".

La casa degli Abbas, di proprietà dei Bartoli, resta tuttora sotto sequestro. "Non ci abita nessuno dopo la partenza degli Abbas. E con loro non ci sono stati più contatti. Neppure Shabbar, mio dipendente per tanti anni, si è fatto sentire dopo le telefonate dei primi giorni dopo la sua partenza per il Pakistan. Qui resta solo un cugino di Saman, che lavora per noi e che dice di essere estraneo a tutta la vicenda. Sono venuti a trovarlo alcuni suoi familiari. Tutti dicono di non sapere nulla delle sorti di Saman".

Resta però la speranza che possa essere reale la tesi del fidanzato della giovane, convinto che lei sia da qualche parte, segregata dai familiari ma viva. "Magari fosse così. Con tutte le ricerche eseguite per settimane – aggiunge Bartoli – sono convinto che il suo corpo non sia in questi campi. Abbiamo vuotato le serre, perlustrato i campi palmo a palmo e sotto la terra. Se ci fosse stato un corpo lo avrebbero trovato".

Poi, una riflessione: "Forse, se fossimo stati coinvolti in questa vicenda già da aprile, l’esito di questa storia sarebbe potuto cambiare. Se di fronte ai primi sospetti di un potenziale pericolo ci avessero raccontato quali rischi correva Saman – aggiunge Bartoli – forse avremmo potuto controllare meglio i movimenti di quella famiglia. Magari con più occhi addosso, non avrebbero proseguito il loro presunto diabolico piano di morte contro la ragazza. Invece, siamo stati tenuti all’oscuro di tutto, nonostante fossimo a contatto con loro in modo costante. Abbiamo saputo dei sospetti solo molti giorni dopo la partenza degli Abbas, quando nei campi sono arrivati i carabinieri e i cinofili per le prime ricerche. Quando sono partiti tutti per il Pakistan abbiamo pensato davvero a un viaggio per raggiungere una parente degli Abbas in cattive condizioni di salute…".

E conclude: "La speranza è sempre quella che Saman sia ancora viva. Ma credo che qualcosa di grave sia successo: non si spiegano altrimenti quindici anni di impegno per stabilirsi in Italia, portare qui tutta la sua famiglia per poi fuggire all’improvviso e lasciare ogni cosa. Non lo capisco…".

Antonio Lecci