Il caso dei bimbi africani e le fatture sospette

Una madre affidataria spiega il sistema di bonifici incrociati

Davanti al collegio dei giudici presieduto da Sarah Iusto, a latere Michela Caputo e Francesca Piergallini, ieri è stata ascoltata come testimone la madre affidataria 18 giugno 2015 , di due fratellini di origine africana, una bambina che doveva compiere 4 anni e il maschietto di 2 anni: "Un’assistente sociale (non imputata, ndr) mi disse che c’era sospetto di abuso da parte del padre". I piccoli avrebbero rivisto il padre quattro anni dopo: lui fu indagato per violenza sessuale e poi archiviato. La madre aveva detto all’operatrice culturale che qualcuno pensava che avesse toccato la figlia, indicando anche il marito; la donna, che aveva detto di avere paura di lui e fu collocata in una casa protetta, risulta che nel giugno 2015 fu sottoposta a tso. Sentita dal pm Valentina Salvi, l’affidataria si è soffermata sulle modalità economiche dietro psicoterapia fatta alla bambina e affido: "Noi dovevamo pagare Hansel e Gretel. Facevamo il bonifico coi soldi che arrivavano dal servizio sociale". Sentita durante le indagini, aveva riferito: "Le fatture venivano emesse dalla onlus di Torino, poi diventata Sviluppo emotivo srl". E ieri ha espresso la sua contrarietà al sistema di pagamento: "Non ricordo quale cifra ricevevamo per l’affido, poi vi era una quota da successivo pagamento che passava da noi per andare da Hansel e Gretel. Furono i servizi sociali a decidere questo sistema di pagamento. Noi non eravamo d’accordo, ci costava tempo, e anche per fare il bonifico dovevamo pagare 2 euro".

Non ricorda come Francesco Monopoli giustificò la triangolazione. Nel 2018 riferì "Abbiamo rappresentato l’auspicio di evitare questo giro chiedendo all’Unione nelle persone di Monopoli e Marietta Veltri di pagare direttamente loro la fattura, dopo l’invio diretto da parte di Hansel e Gretel, ma mi spiegarono che non era possibile per questioni amministrative".

Racconta anche che la sua famiglia "percepiva solo la quota affido base, ma per i due bambini collocati pagavamo il cibo, il nido, la materna, poi le elementare, libri chiesti dalla scuola e farmaci": questo perché abitavano fuori Reggio e i piccoli non erano nello stato di famiglia. Sulla nascita del terzo bambino, secondo l’accusa taciuta ai due bambini, "non l’abbiamo mai menzionato a casa, pensavamo dovessero dirlo i servizi sociali nel modo giusto. Tra dicembre 2018 e gennaio 2019 ci fu primo incontro tra genitori e bambini". Parla poi della ricerca delle fatture a casa loro e della sensazione di sentirsi coinvolti nonostante tutto nell’inchiesta: "Ci siamo sentiti accusati, è stato brutto. I colleghi mi dissero: ‘Hai detto ciò che sta succedendo?’" Dopo oltre tre anni di permanenza, "capimmo dalla bambina che mamma era assente mentre il padre molto presente". Poi "ebbi problema di salute, si interruppe l’affido e un’altra coppia si rese disponibile. Nel 2017 non potevamo più incontrare i bambini. Scrissi al garante dell’infanzia una lettera. Poi loro sono rientrati nella nostra casa". Parla anche della macchinetta dei ricordi usata durante la psicoterapia da Nadia Bolognini: "Mi chiese il consenso. La teneva la bambina in mano, con palline e fili".

Al.cod.