REDAZIONE REGGIO EMILIA

Delitto Toano, il nipote superteste: "Figlia e genero di Pedrazzini vadano in carcere"

Il tribunale del Riesame ribalta la scelta del giudice di primo grado. Nell’ordinanza si parla di "interessi economici anteposti a ogni forma di umana solidarietà verso il parente stretto"

Delitto di Toano, parla il nipote superteste dell'accusa

Reggio Emilia, 21 luglio 2022 - "Assenza di ogni remora nell’eseguire un progetto criminale come quello di cui è stato vittima Giuseppe Pedrazzini". L’anziano, 77 anni, "è stato lasciato morire senza alcuna assistenza sanitaria nella propria casa, sebbene negli ultimi giorni prima della morte le sue condizioni fossero molto peggiorate per l’espulsione di un’ernia". E, soprattutto, un movente più forte di tutto: "Interessi economici anteposti a ogni forma di umana solidarietà verso un parente stretto". Tanto da spiegare "la scelta di occultare le prove, sbarazzandosi del corpo del deceduto, gettato in un pozzo". E quella "di inquinare le indagini, spedendo agli inquirenti false mail, facendole apparire come inviate dall’uomo scomparso".

Ecco perché il Riesame ha in parte accolto il ricorso sulle misure cautelari avanzato del pm Piera Cristina Giannusa sul caso di Toano: il tribunale ha disposto la custodia cautelare in carcere per il 42enne Riccardo Guida e la moglie 37enne Silvia Pedrazzini - figlia dell’anziano morto -, finora sottoposti a obbligo di firma e di dimora a Suzzara (Mn), e ha confermato invece queste due ultime misure già in vigore a Toano per la vedova Marta Ghilardini.

La decisione non è definitiva. La difesa ha tempo dieci giorni per impugnarla, come già preannuncia di fare l’avvocato Ernesto D’Andrea, difensore della coppia Guida-Pedrazzini: "Farò ricorso in Cassazione". Per loro restano attive le misure disposte dal gip Dario De Luca, che aveva scarcerato tutti e tre. C’è un fil rouge, nella ricostruzione del Riesame sul piano criminale: il bisogno di soldi della famiglia, accentuato dopo la morte, il 18 dicembre 2021, di Giuseppina Colombarini, madre di Marta Ghilardini.

E spunta un superteste: il nipote minorenne di Giuseppe Pedrazzini, figlio di Riccardo e Silvia, che era al corrente di tutto. "Gli indagati hanno agito in modo da impedire agli amici, al nipote, ai fratelli di comunicare con Pedrazzini". Nell’interrogatorio del 31 maggio Ghilardini riferisce: "Mio marito è stato segregato in casa per un mero fattore economico". Scelta "presa dal genero Riccardo, ma condivisa da lei e dalla figlia e a conoscenza del minore". Lei dice: "Mio nipote sapeva del piano di segregazione". Pensato "durante una riunione di famiglia": "Riccardo ci ha detto: ‘Se Giuseppe... comincia a fare un po’ d’aggravamento, noi siamo tutti d’accordo che dobbiamo dire le stesse cose insieme’".

Il movente economico "trova conferma in tutte le decisioni dopo la morte di Colombarini": ovvero "la vendita di attrezzature agricole di Pedrazzini, di galline e conigli da lui allevati" e la "ricerca di un acquirente a cui cedere i terreni di Ghilardini". La segregazione è consistita anche "nel limitare la sua libertà di movimento". Ghilardini ha parlato di "porte chiuse in casa" da lei stessa e dalla figlia Silvia. Giuseppe aveva provato a uscire di casa senza riuscirci, le aveva chiesto il perché di quella situazione, e lei aveva risposto: "Per evitare che tu cada".

Il nipote, sentito il 13 giugno, ha confermato. Ha detto che dopo la morte di Colombarini non si poteva più usufruire della sua pensione. Che i suoi genitori ritenevano che il nonno desse soldi a parenti e ad amici. E che, dopo un allontanamento del nonno, si era deciso di chiudere la porta a chiave: "Lo avevo visto piangere perché non poteva più vedere i suoi amici". All’inizio il ragazzo aveva cercato di accreditare la versione concordata con la famiglia sul nonno andato via spontaneamente col doblò: "Solo dopo aver saputo dagli inquirenti che la nonna aveva parlato, ha corretto il tiro, dando anche atto di avere da subito saputo che Pedrazzini, dopo la morte, era stato portato via di casa avvolto in un telo". Riccardo e Silvia, scrive il Riesame, "hanno vissuto in modo parassitario alle spalle dei genitori della Pedrazzini: li hanno indotti a indebitarsi chiedendo finanziamenti per comprare una Bmw e una batteria professionale, beni - si rimarca - entrambi voluti da Guida". Morta Colombarini, "hanno ordito il piano per accaparrarsi tutte le risorse di Pedrazzini, inducendo Ghilardini ad accettare il loro volere".