ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

La rabbia degli alluvionati: "L’allarme fu dato troppo tardi"

Processo contro i funzionari Aipo, parlano i lentigionesi: "Niente soldi dalla Regione per vecchie difformità edilizie"

La rabbia degli alluvionati: "L’allarme fu dato troppo tardi"

La rabbia degli alluvionati: "L’allarme fu dato troppo tardi"

La paura che riemerge da quella laguna di acqua e fango che mai potrà essere spalata via dai ricordi. Le lacrime. Ma anche la rabbia per ciò che non funzionò e la delusione per una parte di soldi che non vengono dati per i danni causati dall’esondazione dell’Enza del 12 dicembre 2017 a Lentigione. Anna Agazzi si ritrovò un metro d’acqua in casa: "Andai nel panico, non sapevo più cosa fare. Ebbi conseguenze per 50mila euro, di cui risarciti solo la metà perché alcuni danni non sono stati conteggiati".

"Finalmente possiamo far sentire le nostre voci. A parte chi ha fatto i lavori e ha ricevuto l’80% dei soldi, altri di noi non hanno ricevuto un euro, solo perché le case erano datate e vi erano piccole difformità": Edmondo Spaggiari, referente del comitato Alluvionati di Lentigione, definisce su Facebook quella di ieri ‘Giornata della memoria’. E rilancia: "Chiediamo giustizia". Lui e altri 18 cittadini, sui 180 costituiti parte civile, ieri hanno testimoniato, chiamati dagli avvocati Domizia Badodi e Giovanni Tarquini, tutti con la spilla del comitato appuntata al petto. Davanti al giudice Giovanni Ghini figurano tre imputati per inondazione colposa, che lavoravano per Aipo: Mirella Vergnani, Massimo Valente e Luca Zilli.

Pure il Comune è costituito parte civile attraverso l’avvocato Salvatore Tesoriero: ieri è stato sentito anche il sindaco Carlo Fiumicino sulla conta dei danni. Secondo Lorenzo Bianchi Ballano, che era anche volontario della Protezione civile, vi furono storture: "Abbiamo una chat in cui si trasmettono le allerte, ma in quei giorni non c’erano comunicazioni. Vi fu solo una blanda richiesta di volontari per fare vigilanza al ponte di Sorbolo (Pr) che fu chiuso il giorno prima, quando raggiunse 11 metri. Il Coc (centro operativo comunale) di Brescello avrebbe dovuto essere attivato a quella quota, e i volontari coinvolti: invece non accadde e fu aperto solo il 12, quando avevamo l’acqua in casa".

Racconta di quando il padre, 82 anni, alle 6 del mattino urlò che la caldaia perdeva: "Aprii la finestra e vidi il torrente che era esondato. Accompagnai mio padre al piano di sopra e presi tutto ciò che riuscivo. Ci portarono fuori casa con un canotto a remi: per arrivare da AutoZatti fu il viaggio della speranza, ci impiegammo un’ora".

L’anziano genitore era sconvolto: "Vedendo quel mare di acqua e fango, diceva: ‘Stavolta muoio’". Per sistemare i danni, 20mila euro alla casa più 8mila al negozio, "abbiamo usato i nostri soldi ma non abbiamo potuto chiedere il rimborso. Bisognava fare una perizia in cui si attestava che era tutto in regola, ma la nostra casa risale agli anni ‘70 e nessun tecnico lo attestò. Negli anni ‘90 ristrutturammo il piano terra, ma era abituale lasciare aperta la pratica: dopo l’alluvione risultò una Scia in essere e il geometra ci disse che andava sanata. Siamo andati in Regione, ma questa domanda non vogliono recepirla".

Valeria Sghedoni abitava coi genitori: "Alle 6 la vicina mi disse che c’era l’acqua in casa. Cercai il numero della Protezione civile di Brescello e telefonai: mi dissero che c’era solo un piccolo sormonto, che stavano arginando e che non dovevamo preoccuparci". La donna si sfoga: "Mi fa rabbia che noi a Lentigione eravamo a letto tranquilli, mentre dall’altra parte dell’Enza il sindaco di Sorbolo aveva svegliato i cittadini dicendo che c’era un problema".