La sfida sull’autismo: "Ogni caso è differente. Serve formazione ad hoc per educatori e docenti"

L’esperta Augenti: "A Reggio oltre mille minorenni affetti dallo spettro. Occorre migliorare le risposte alle famiglie da parte delle istituzioni. Lo Stato sia un punto di riferimento e la scuola rimoduli la didattica".

La sfida sull’autismo: "Ogni caso è differente. Serve formazione ad hoc per educatori e docenti"

La sfida sull’autismo: "Ogni caso è differente. Serve formazione ad hoc per educatori e docenti"

di Daniele Petrone

Dottoressa Maria Antonietta Augenti, l’episodio delle presunte percosse da parte di un’educatrice ad un ragazzino autistico, ci pone davanti al tema dell’approccio alla diversità. È questa una delle sfide del futuro del welfare?

"Assolutamente sì. Prendiamo come riferimento l’ultimo report diffuso dalla Regione nel 2021. I dati su Reggio indicano che ci sono 1.912 utenti seguiti dalla neuropsichiatria, di cui 87 adulti e più di mille minorenni. Ci vogliono più risposte alle famiglie e maggiori strumenti nelle scuole, dagli educatori agli insegnanti".

Partiamo dalle famiglie.

"C’è bisogno di una risposta in termini di parent tranining e parent support. Entrambi sono servizi volti a sviluppare competenze nei genitori per migliorare la vita quotidiana dei loro figli affetti da disturbo dello spettro autistico, e pertanto di sostegno al nucleo famigliare. Devono andare di pari passo. Perciò serve più dialogo tra i servizi locali e quelli regionali da una parte e genitori e associazioni dall’altra".

Manca una sinergia al momento?

"Quando le famiglie non trovano risposte dallo Stato, ecco che si rivolgono alle associazioni come ad esempio Aut Aut. E questo è ovviamente un bene. Però quelle risposte poi, le istituzioni devono darle. C’è stato un primo passo col programma integrato sull’autismo 2023-2027 con l’aumento dei fondi stanziati. Ma non bastano. Serve un intreccio di ascolto per programmare meglio servizi che rispondano alle istanze sui progetti di vita di questi ragazzi".

E arriviamo al tema della scuola.

"Occorre fare una premessa: il nostro è un Paese che proviene da un’importante tradizione pedagogica, abbiamo la legge 104/92 e siamo un paese pilota in Europa rispetto alla garanzia degli alunni di frequentare la scuola insieme a tutti gli altri in maniera inclusiva. Da noi non esistono le scuole speciali come altrove. Dunque lo Stato attiva corsi di specializzazione sul sostegno per insegnanti. Ma questi ricevono una formazione a 360 gradi sulla disabilità, ma occorrono competenze specifiche sull’autismo".

Ecco che quindi possono capitare episodi di gestione scorretta...

"Esattamente. Occorrono corsi di formazione più professionalizzanti. Sull’episodio specifico denunciato dalla famiglia e raccontato dal vostro giornale, non voglio entrare perché è giusto che indaghi la magistratura e faccia il suo corso. Ma partendo da questo, a livello generale, è necessario che le cooperative che collaborano col Comune sui servizi, prevedano una formazione ad hoc – che oggi purtroppo manca – sui disturbi dello spettro autistico perché ogni bambino è differente".

Cosa può fare la scuola?

"Credo che bisogna provare a rimodulare l’assetto scolastico e didattico affinché sia davvero garantita l’inclusione. Bisogna lavorare su progetti che coinvolgano l’intera classe in cui sono inseriti alunni autistici. Servono strumenti adeguati al benessere di tutti e interventi educativi e didattici inclusivi attraverso un lavoro costante tra il Piano Educativo Individualizzato degli alunni con disabilità e il lavoro in classe".

Lei come ricercatrice sta lavorando a questo?

"Sì. Nelle mie ricerche ad esempio, stiamo lavorando alla creazione di contesti e di un curriculum inclusivo secondo l’approccio dell’ Universal Design for Learning, un metodo di matrice americana che negli Stati Uniti è applicato nelle classi ordinarie senza alunni con disabilità, mentre da noi vorremmo attuarlo nelle classi eterogenee, rimodulando materiali, obiettivi, metodologie e valutazioni".

Un esempio concreto?

"Si chiama progettazione inclusiva pro attiva e intenzionale. Prendiamo una classe canonica con 25 alunni, di cui tre con disturbi dell’ apprendimento, uno affetto da autismo e un altro con disabilità intellettiva. Se per l’insegnamento, ad esempio, della matematica programmassimo, seguendo i principi e le linee guida di questo approccio, materiali multimodali, utilizzando una didattica attiva e inclusiva che coinvolga e stimoli tutti, avremmo un miglioramento dei risultati scolastici, del benessere, della partecipazione e della motivazione allo studio per tutti, anche per gli alunni con disturbo dello spettro autistico".

Purtroppo però c’è poi il nodo del numero degli insegnanti di sostegno...

"Sì, il numero risulta sempre in deficit, ma questo dipende dal sistema del Miur che andrebbe rivisitato. Di certo la carenza influisce sulle progettualità e soprattutto sulla qualità. È un altro aspetto sul quale bisognerà lavorare".

Un’altra sfida da vincere sulle disabilità?

"Senza dubbio, il progetto dell’inserimento lavorativo dopo il raggiungimento della maggior età da parte di chi è affetto da disabilità. A Reggio c’è una buona base, abbiamo visto nascere realtà come Planet Aut e Anma Winebar, il bar gestito da ragazzi non udenti. Ma devono essere accompagnati dal pubblico con maggior dialogo e interazione".