L’intolleranza verso gli studenti: "Cacciati alle 22 perché parlavamo"

Il portavoce di Unione degli universitari: "Non ci sembra affatto che la città sia felice di ospitarci. L’ateneo fa molto per noi, ma non possiamo dire altrettanto di istituzioni e società civile".

L’intolleranza verso gli studenti: "Cacciati alle 22 perché parlavamo"

L’intolleranza verso gli studenti: "Cacciati alle 22 perché parlavamo"

Giammarco Fabiano, 25 anni, studente di Storia e cultura contemporanea (fuori sede, di Taranto), è il coordinatore di Udu (unione degli universitari) di Unimore.

Giammarco, qual è la percezione che voi studenti avete rispetto all’accoglienza che la città di Reggio – o meglio, il centro storico – ha nei confronti degli universitari e dell’università?

"Più che una percezione è una sensazione forte e chiara. Non ci sembra che la città sia troppo felice di ospitare studenti universitari. Oltretutto non mi sembra che ci siano luoghi dove possiamo trascorrere il nostro tempo libero, stare tra noi, al di fuori delle sedi. E nei pochissimi che esistono è un problema incontrarci, in particolare la sera".

Può fare un esempio?

"A Via Cassoli 1 esiste una rete di associazioni studentesche, dove ci troviamo per organizzare iniziative di tipo culturale. Capita che all’uscita, verso le 22,30, ci fermiamo lì davanti a fare due chiacchere. Ma con un tono di voce normale. E chi abita nelle case di fronte chiama la polizia. No, non ci sentiamo ben accetti e ci domandiamo se Reggio Emilia vuole essere davvero una città universitaria oppure una città con un’università. Noi pensiamo che l’università faccia tanto per noi, che investa nel modo giusto, ma non possiamo dire altrettanto delle istituzioni e della società civile".

Il professor Alberto Cadoppi, docente all’ateneo di Parma, in un’intervista uscita ieri su Carlino Reggio ha detto che le sedi universitarie dovrebbero essere tutte in centro storico. Che cosa ne pensa?

"Non sono d’accordo, perché ogni polo è dislocato in base alle facoltà che ospita e alle esigenze didattiche che queste esprimono. I laboratori non possono stare in città. E Unimore sta investendo parecchio in settori tecnico scientifici. Invece in città ci dovrebbero essere più studentati e più alloggi: a proposito del contributo che dovrebbe arrivare dalla società civile. A differenza del professor Cadoppi, non penso che gli affitti siano a buon mercato. Anzi sono molto cari e per niente abbordabili. E credo che chi ha appartamenti o negozi sfitti dovrebbe valutare la convenienza a proporre quote di affitto calmierate, che farebbero il bene di studenti e commercianti, ma soprattutto della città che se vive è un luogo più sicuro".

Faceva riferimento anche alle istituzioni pubbliche. Che cosa potrebbero fare?

"Corse serali di autobus, per esempio. Il problema non sono le sedi fuori città, che comunque sono vicine al centro, ma i servizi che possono aiutare gli studenti universitari a popolare la zona storica di Reggio. Servono servizi per gli studenti, in modo che questi possano a loro volta contribuire all’economia della città. A Reggio Emilia la movida è vista come fumo negli occhi dai residenti. Ripeto: non c’è vita e dove non c’è vita non c’è sicurezza. Dovremmo rappresentare una risorsa non un fastidio".

Qualcuno chiede il vostro parere, vi ascolta?

"No. E invece pensiamo che ambiente accademico, studenti inclusi, istituzioni e società civile dovrebbero riunirsi intorno a un tavolo e affrontare questi problemi, la cui soluzione porterebbe benefici a tutti. E la domanda da cui partire è sempre quella: vogliamo che Reggio sia una città universitaria oppure una città con una università?"