Mirabello, Ospizio e stazione: "Così l’accoglienza non va e a subire siamo sempre noi. Non sappiamo più che fare"

Un viaggio tra i quartieri dove la presenza di extracomunitari senza fissa dimora è più intensa "Crack e sporcizia ovunque, se parli reagiscono male. Anche le forze dell’ordine sono stremate".

Mirabello, Ospizio e stazione: "Così l’accoglienza non  va e a subire siamo sempre noi. Non sappiamo più che fare"

Mirabello, Ospizio e stazione: "Così l’accoglienza non va e a subire siamo sempre noi. Non sappiamo più che fare"

di Giulia

Beneventi

"Chi si fa i fatti suoi, campa cent’anni". Difficile trovare una teoria nazional popolare più condivisa di questa, ma è il passaggio alla pratica che alle volte si dimostra doloroso.

"Se non dici niente poi loro non è che ti vengono a parlare". Molto spesso è vero, nelle zone della città in cui la presenza di extracomunitari senza fissa dimora si è fatta più densa. Ma quando tuo figlio adolescente viene rincorso per rubargli il portafogli, farsi i propri diventa complesso. Quando esci di casa e trovi appena fuori la porta escrementi eo ’kit’ per fumare il crack, quando perdi clienti in distesa, quando fare cento metri al buio per raggiungere la macchina fa paura, è lì che l’umana empatia arriva a richiedere, forse, uno sforzo troppo grande.

MIRABELLO

All’inizio di questo mese, la Prefettura aveva detto che una task force si sarebbe dedicata alla zona stazione e limitrofi. Roberto Spallanzani e Sara Carretti lavorano al bar Sydney, a due passi dal parchetto del Mirabello. Lo stesso spazio verde in cui i residenti di zona avevano segnalato sistematici episodi di spaccio e degrado. Spallanzani e Carretti confermano che un cambiamento in atto c’è, ma senza inneggiare al miracolo: "È vero, da un mese a questa parte i controlli sono aumentati e gli effetti un po’ si vedono". "Giusto qualche giorno fa ho visto degli agenti con i cani antidroga" dice lei.

"Certo – aggiunge subito – non so quanto fare dei controlli alle tre del pomeriggio possa servire...però la situazione è migliorata. Ad aprire o chiudere il bar, col buio, c’è da aver paura". "Se penso solo a poche settimane fa eravamo allo sbando – segue lui –. A noi o alla nostra attività non hanno mai dato fastidio, ma è una questione puramente di decoro. Che poi basta far vedere che le forze dell’ordine ci sono, non serve venire qua armati di scudi".

POLVERIERA

"Vuole vedere il loro covo?". Maria Giordano si alza subito dalla sedia e fa strada verso l’uscita sul retro della pizzeria Un Posto al Sole (via Mirabello). "Ecco – indica l’ingresso di un condominio adiacente – c’è un gruppo che sta sempre qui, tutti i giorni, a qualsiasi ora. Bevono, fumano non so cosa. Arriva la polizia, se ne vanno, poi tornano. Sempre così". Dai gradini si vedono bottiglie di plastica, un numero indefinito di pacchetti di sigarette vuoti e cartacce varie. "L’altro giorno ho chiamato i carabinieri – continua – perché avevamo in distesa una tavolata di ragazzine giovani e uno di loro si è avvicinato completamente nudo".

"Quest’estate era un continuo di richieste ai clienti qui fuori – aggiunge il marito, Salvatore Vigilante –. A me fanno pena e dico sempre a chi viene qui di non dare loro dei soldi, piuttosto gli do io una pizza o qualcosa da mangiare. Tanti accettano ma tanti altri no, vogliono i soldi e basta". Le forze dell’ordine "ci sono, sempre – continua – ma sono i primi ad essere stremati da questa situazione. E poi intervengono, ma per cosa?".

"Le racconto questa – dice – a settembre dell’anno scorso mio figlio, che al tempo aveva 15 anni, è stato rincorso da un extracomunitario che voleva rubargli il portafogli. Mi ha chiamato e sono corso subito, è successo appena qui fuori dalla pizzeria. Abbiamo chiamato i carabinieri e l’hanno portato via: dopo un’ora era di nuovo qui, a zonzo. Sono instabili mentalmente, ti rispondo anche male se provi a dir loro qualcosa. Non se ne esce, e da quando hanno svuotato le Reggiane è sempre peggio".

OSPIZIO

"Te lo dico io com’è. In via Paradisi vendono l’eroina e il crack, davanti alle Poste della stazione l’hashish e la marijuana. Qui a Ospizio, via Chiesi soprattutto, il crack è ovunque. Capito?". Sceglie l’anonimato, ma aggiunge: "A tutte le ore del giorno li vedi in giro, che si drogano o assieme delle ragazzine che anziché andare a scuola comprano da loro. Esci di casa e trovi lo schifo che lasciano in giro. Io te lo dico: sono stato anch’io un tossico, per quarant’anni della mia vita, ma una situazione così in questa città non l’ho mai vista".

In via Sani, dietro la Coop si notano da lontano dei puntini verdi in mezzo alle foglie secche. Sono tutte bottiglie di birra vuote, alcune superano anche la cancellata che separa le uscite sul retro del supermercato dalla strada. Accostata piazza Domenica Secchi, è il momento di voltare a sinistra, verso la terra del silenzio.

STAZIONE

"Non ho visto, non c’ero, non saprei". In piazzale Marconi, tra il caos delle auto del mezzogiorno, non è semplice trovare chi parli senza filtri. Vuoi per non rovinare l’immagine della propria attività, che è già abbastanza compromessa così, o vuoi per evitare a prescindere delle conseguenze, qualsiasi esse siano. Di certo passare di colpo dal profumo per ambienti dell’ingresso di un hotel immacolato, alla nube di fumo all’odor di marijuana prodotta da un gruppo di ragazzini appena fuori, fa il suo effetto.

Qualcuno a un certo punto, e sempre cautamente, si sbottona: "Vedo spesso le auto della polizia qui nel piazzale – dice il titolare del negozio Tecno Blu, all’angolo con viale IV Novembre –. Se ci restano il più possibile, è meglio". "A me non ha mai dato fastidio nessuno – dice una ragazza mentre prende un caffé al bar Marconi –. Ora che ci penso, l’altro giorno ho visto tre, forse anche quattro macchine della polizia proprio lì, all’ingresso della stazione. Meglio così, perché secondo me qui gira davvero di tutto".

VIALE IV NOVEMBRE

"Le faccio vedere il retrobottega". Anna, titolare del bar Armony, chiama così un angolo di proprietà del condominio a fianco, facilmente raggiungibile anche dal lato della sua attività. Su quella piccola porzione di asfalto grigio chiaro qualcuno, poche ore prima, aveva liberato l’intestino e il risultato era ancora lì, in bella vista. "Ci avevo già pulito ieri – dice lei – e quando non è così, ci trovo pezzi di stagnola o bottiglie con cui hanno fumato il crack".

"La prima cosa che mi viene da dirle è che non ho più parole": Anna sospira, ma poi è un fiume in piena.

"Le attività qui ormai sono a zero. Se vuoi una distesa che sia libera dai pericoli, devi mettere in conto che sei da solo, perché le forze dell’ordine o arrivano tardi, oppure si trovano impotenti" di fronte a una situazione "che va avanti da tempo, ma è peggiorata drasticamente da quando hanno chiuso le Reggiane. Che poi non so come la veda lei, ma quel giorno per me abbiamo perso tutti. Perché tutti noi, esseri umani, abbiamo bisogno di un posto in cui dormire e mangiare. Se questo posto non c’è, se il servizio di un’accoglienza che sia almeno decente manca, le attività come la mia non possono fare da palliativo".

Si appoggia al bancone: "Sono stanca – dice –. Tra un mese o due chiudo, passo più tempo a pulire il bagno del mio bar che a lavorare. Come se avessi davvero bisogno poi, di sapere cosa vanno a fare in bagno... Però le dico, non mi sento in pericolo: all’inizio erano arroganti anche con me e andavano via senza pagare, poi ho iniziato a rispondere a tono e a rincorrerli anche solo per un euro, e l’hanno capita".

"Non pretendo di avere come clienti i reali di Windsor – chiarisce – ma non posso più reggere questa maleducazione, questi picchi di violenza che, guarda caso, scattano nel momento in cui iniziano a girare nuove droge sintetiche. Ora c’è il crack, ad esempio".

"Essere nati dall’altra parte del mondo non deve né aggiungere né togliere alcun diritto – conclude –. Accogliere qualcuno a ’casa’ propria significa riuscire a trovare una zona franca, in cui le esigenze di tutti siano rispettate, quelle di chi arriva e quelle di chi ospita. Altrimenti, per come la vedo io, l’entrata è libera ma l’uscita lo è ancora di più: e non mi riferisco solamente al mio bar".