Violenza e maltrattamenti. Palpeggiata e costretta a pesarsi sulla bilancia

Una donna presunta vittima di vessazioni da un collega del caseificio. Un’amica racconta: "La volevano costringere a firmare un foglio in bianco".

Violenza e maltrattamenti. Palpeggiata e costretta a pesarsi sulla bilancia

Violenza e maltrattamenti. Palpeggiata e costretta a pesarsi sulla bilancia

Palpeggiamenti. Offese e body shaming. Soprusi, tra cui anche la firma che alla donna sarebbe stato chiesto di mettere in calce a un foglio in bianco, e che lei avrebbe evitato fuggendo. È quanto una donna sostiene di aver subito da parte di un uomo oggi 60enne, finito a processo per le accuse di violenza sessuale e maltrattamenti, formulate dal pubblico ministero Valentina Salvi. In passato la presunta vittima lavorava in un caseificio reggiano dove anche lui prestava la propria attività. Secondo la ricostruzione accusatoria, per tre anni - dall’agosto 2018 al settembre 2021 - in diverse occasioni l’uomo avrebbe allungato le mani su di lei, l’avrebbe avvicinata al proprio corpo e in un caso le avrebbe bloccato il viso con le mani provando ad aprirle la bocca con la forza. Poi l’avrebbe sottoposta a "costanti vessazioni morali", abusando della sua autorità "quale datore di lavoro": la posizione professionale dell’imputato appare al momento uno dei punti controversi. L’avrebbe insultata per il suo peso. E l’avrebbe obbligata più volte a salire sulla stadera del caseificio, in presenza di altri, per umiliarla, esponendo il peso scritto su un post-it sulla stessa bilancia. L’avrebbe anche minacciata di licenziamento, sottoposta a mansioni non contrattualizzate e nei periodi di ferie le avrebbe chiesto al telefono l’invio di foto in intimo o in costume. Davanti al collegio dei giudici presieduto da Cristina Beretti, a latere Giovanni Ghini e Silvia Semprini, e al pubblico ministero Denise Panoutsopoulos, ieri sono stati ascoltati alcuni testimoni, tra cui le conoscenti della donna che si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Alice Minari, mentre l’imputato è difeso dall’avvocato Nino Giordano Ruffini. Una testimone, amica da dieci anni della parte civile, ha riferito in aula le confidenze avute dalla donna: "Mi raccontava che veniva derisa sul piano professionale. E che si era sentita dire: ‘Non sei pagata per pensare’". Ha anche raccontato che la donna era la commessa del caseificio, "ma non faceva solo quello: tirava su anche la ricotta e si occupava dei confezionamenti". Poi la testimone si è soffermata su un episodio avvenuto a metà settembre 2021: "La mia amica mi contattò alle 8, un orario insolito. Poi ci vedemmo a Reggio: lei era in abiti da lavoro, con la divisa bianca e gli stivali, appariva sconvolta e faticava a parlare. Mi,abbracciò e mi disse che era stata messa in un angolo per i turni di lavoro e aveva subito palpeggiamenti, che si erano ripetuti per mesi". Ha anche detto che la donna le riferì al telefono: "Voglio scappare, non mi sento più sicura. Sono stata messa in un angolo dal casaro e dalla moglie perché ponessi la mia firma su un foglio bianco". Cosa che non ha fatto "perché ha detto di essere scappata". Secondo il racconto riferito dalla lavoratrice all’amica, "anche in passato era emerso che nel caseificio i lavoratori erano costretti a mettere la firma sul foglio". A margine del processo l’avvocato Ruffini dichiara: "Il mio assistito respinge gli addebiti. Confidiamo in un’assoluzione anche alla luce dei testimoni da noi citati".

Alessandra Codeluppi