Monte Urano (Fermo), 5 aprile 2012 - FRANCESCO Cifola se ne va tra gli applausi delle sua gente su una barella della Croce Gialla di Montegranaro. Mentre scroscia il battimani che lo accompagna verso l’ambulanza, il gioielliere piange imprigionato dalle fasce dell’imbragatura stretta intono al corpo. La mano sul volto, disperato. «Ha fatto bene», mormora la folla. «E’ un eroe», grida qualcuno. «Non potevo lasciare mio padre nelle mani di quei criminali, non potevo», si dispera su una lettiga dell’ospedale di Fermo. Dovranno fargli le radiografie. Al pronto soccorso gli hanno ricucito con tre punti uno squarcio alla nuca e gli hanno ingessato un braccio.

I MEDICI temono per i colpi che gli ha sferrato uno dei rapinatori, in fronte e al capo. La testa gli fa male, ma i pensieri si accavallano ossessivi come in un vortice. «Volevo difendere mio padre, dovevo difenderlo — continua a ripetere —. Ho avuto paura che lo ammazzassero». E invece a terra è rimasta Rosa Donzelli, 36 anni. Colpita a morte. «Non volevo ucciderla, non volevo — giura Cifola, gli occhi rossi, gonfi di lacrime e di paura — ma non potevo permettere che portassero via mio padre, che lo prendessero come ostaggio. Non so se riuscirò mai a vivere con questo peso sulla coscienza». Le immagini dell’incubo gli scorrono davanti, veloci. «Erano tre, due uomini e lei, la ragazza — parla e guarda dritto davanti a sé —. Mi hanno legato, imbavagliato».

LE PAROLE gli escono a fatica, strozzate in gola. «Non ricordo bene: mi hanno puntato la pistola e mi hanno slegato le mani per aprire la cassaforte, poi è arrivato mio padre. Ha suonato il campanello. Volevano tirarlo dentro, lui era aggrappato alla porta per non farli scappare, si è rotta la maniglia, gli hanno puntato la pistola in testa, cercavano di trascinarlo via...» Francesco si blocca, una lacrima. «Quando ho visto i rapinatori picchiarlo e puntargli la pistola contro la tempia, ho preso il revolver da sotto il bancone e ho sparato per intimorirli. Poi non ho capito più niente...» In terra resta Rosa Donzelli, centrata da uno dei colpi eplosi dal gioielliere. Muore lì, in Corso Mazzini a Monte Urano. Un paese che fa quadrato intorno a Cifola e alla sua famiglia. Ed è pronto a difenderli.

QUALCUNO lo sussurra soltanto; Leonard Iacovelli è pronto a metterci la faccia. «Francesco? Ha fatto bene. Quelli se la sono cercata...», taglia corto. Rosanna Conti, la fioraia che ha il negozio lì vicino ha ancora negli occhi quei terribili istanti. E come lei Natalia Regolo e sua sorella Raffaella, tra le prime a buttarsi in strada. «Era lì — e punta l’indice contro l’asfalto davanti alla gioielleria —. Ho visto il padre di Francesco (Duilio Cifola, ndr) steso a terra con la maniglia della porta stretta tra le mani. Implorava aiuto. Gridava. Siamo corsi da lui, lo abbiamo aiutato ad alzarsi. Vicino c’era lei, quella donna...».

ROSA DONZELLI: un guanto strappato sulla mano sinistra, jeans, giubbetto scuro, un rivolo di sangue dalla bocca. Spari, uno dopo l’altro. «Forse quattro, forse anche di più», provano a contarli Natalia e la sorella Raffaella. Rosanna si infila in fretta dentro alla gioielleria. «Ho visto Francesco, il capo chino, le mani appoggiate sul bancone — racconta —. Era ferito, il sangue gli colava dalla fronte. Si è voltato e mi ha detto: ‘Mi hanno bastonato’. Non una parola di più».

Alessandro Caporaletti
 

VIDEO: La gioielleria Cifola

FOTO: la scena della sparatoria

IL FATTO: colpo in gioielleria finisce in tragedia

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