NICOLÒ MORICCI
Cronaca

Ai confini della realtà. Ecco l’accampamento dei disperati al Passetto. Malori per ipotermia

Ci sono decine di giovani pachistani richiedenti asilo all’ascensore. Nella notte il soccorso della Croce Gialla in mezzo a rifiuti di ogni genere.

Ai confini della realtà. Ecco l’accampamento dei disperati al Passetto. Malori per ipotermia

Ai confini della realtà. Ecco l’accampamento dei disperati al Passetto. Malori per ipotermia

Giovani pakistani in ipotermia soccorsi al Passetto. È accaduto la notte a cavallo tra il 15 e il 16 gennaio. Un intervento difficile, per i militi della Croce Gialla di Ancona, che sono dovuti scendere in spiaggia (con tanto di barelle al seguito) in una nottata gelida, con il mare mosso che rendeva ancora più complesso l’intervento. Il vento forte e l’elevata escursione termica sarebbero le cause del doppio malore accusato da due giovani richiedenti asilo, di 25 e 27 anni. I pakistani, in attesa dell’espletamento delle procedure burocratiche, bivaccano in spiaggia, sotto l’ascensore. I sanitari li hanno trovati infreddoliti, con un inizio di ipotermia che – stando a quanto trapela – aveva provocato la febbre ad uno dei due e un forte dolore alla gamba all’altro. L’acqua che invadeva il camminamento ai piedi della scalinata faceva slittare le lettighe. I due si trovano ora al pronto soccorso di Torrette. Ma il loro gruppo di conoscenti è ancora là, sul lungomare.

Il Carlino è andato proprio lì per documentare le condizioni di vita di quella gente, costretta a vivere nella disperazione più nera. L’ascensore non è in funzione, quindi – passando dalla pineta – scendiamo in spiaggia prendendo le scale. I cestini pieni lungo la gradinata sono zeppi di sacchetti di plastica e bottiglie di birra. Diamo un’occhiata tra i cespugli e un ragazzo dalla carnagione scura ci passa davanti sbucando da dietro un albero. Occhi rossi e sguardo basso, ci anticipa scendendo verso il mare. Sul belvedere vicino alla palafitta, si avverte un forte odore di urina, unito a quello del calcestruzzo e del cemento con cui è stata rifatta una parte della gradinata. I lavori sono ancora in corso, il cantiere prosegue. A rilento, ma prosegue. Ci dirigiamo verso la palafitta col fotografo al seguito. La situazione, qui, è nella norma. Ci voltiamo, guardiamo tra le sterpaglie. È qui che iniziamo a vedere i resti dei bivacchi. Una confezione aperta di carbonella, i resti di un falò a ridosso della scarpata. Un calore che svanisce troppo presto quando vivi al freddo a ridosso del mare. Non basta una coperta, ci si scalda come capita. La notte, qui, si gela. D’altronde, Ancona è una città di mare e l’escursione termica è forte. C’è una sedia arrugginita vicino a una fontanella. Probabilmente, è una di quelle sedute usate dai grottaroli durante le loro partite a carte estive. E poi, lattine e brick di latte, vicino a due tetrapak di vino. Tappi di birra e fazzoletti sporchi. A guardare "il mare d’inverno", c’è un ragazzo con le cuffiette. Sta seduto su una panchina di marmo mentre una famigliola alla scoperta del capoluogo gli passa davanti. Gli anziani si fermano tutti sopra, al sole: "Ci piacerebbe scendere, ma l’ascensore non è attivo e io ho 87 anni, mica sono un ragazzino".

Il mare è inferocito, le onde mangiano i ciottoli. Imbocchiamo l’ascensore: scena da terzo mondo. Decine di sacchi a pelo tra le colonne in cui nelle calde giornate agostane c’è la fila di gente in costume. Sull’intercapedine dell’elevatore, sacchi di plastica maleodoranti e vestiti sporchi. Ecco come vive chi bivacca quaggiù, tra l’indifferenza della gente e "un vento che – canterebbe Loredana Bertè – agita anche me". Mettiamo una mascherina per via dell’odore nauseabondo di urina e resti di feci. Una lunga tenda nera è il segno più visibile dell’accampamento. Diverse paia di scarpe fanno presumere che di gente, qua, la notte, ce n’è parecchia. Ci affacciamo sull’aiuola. Dentro, scatolette di tonno, resti di tabacco e buste. Di fronte alla medicheria, che presenta possibili segni di un tentativo di scasso, viveri e bucce di mandarino. Si campa così in rifugi di fortuna, in attesa di una vita migliore.