"Ecco la nostra nuova Carmen"

L’opera ad Ancona venerdì e domenica è una produzione della Fondazione Muse. Contorsioniste sul palco

"Ecco la nostra nuova Carmen"

"Ecco la nostra nuova Carmen"

Un debutto assoluto al Teatro delle Muse di Ancona. Accadrà venerdì (ore 20.30) e domenica (ore 16.30) con "Carmen". Urgono spiegazioni, visto che parliamo di una delle opere più rappresentate al mondo. A darle è il direttore artistico della stagione lirica Vincenzo De Vivo, premesso che la nuova produzione del Massimo dorico in realtà è "La tragédie de Carmen" di Marius Constant, Jean–Claude Carrière e Peter Brook, tratta dal capolavoro di Bizet. "Siamo creatori di novità – commenta De Vivo – Creatori perché quest’opera nasce qui alle Muse, grazie alle strutture e ai tecnici di Marche Teatro. E novità, assoluta, perché è il quarto segmento di un percorso che inizia nel 1845 con la novella di Mérimée, prosegue con la ‘Carmen’ di Bizet nel 1875 e poi con ‘La tragédie de Carmen’ del 1981, di cui il 13 ottobre 2023 ci sarà la versione di Francesca Lattuada, la sua riflessione sull’opera del 1981. E’ quindi uno spettacolo del tutto nuovo". A ‘crearlo’, appunto, oltre alla regista saranno il direttore Natalia Salinas, Lucio Diana, autore di scene e luci, Bruno Fatalot, che firma i costumi, e naturalmente il cast, composto da Martiniana Antonie (Carmen), Diego Godoy (Don José), Gianluca Margheri (Escamillo) e Lucrezia Drei (Micaëla), ai quali si aggiungono le contorsioniste Lise Pauton e Elodie Chan (Carmen II e Carmen III) e Filippo Gonnella, nei tre ruoli parlati di Zuniga, Lillas Pastia e Garcia.

Per questa nuova produzione della Fondazione Muse, Francesca Lattuada va al di là dell’impianto narrativo di Brook-Carrère e Constant, ponendosi "in una dimensione che esclude ogni realismo: i personaggi diventano entità, legate l’uno all’altro da radici profonde e invisibili. La storia rivela i suoi archetipi e diventa tragedia antica, dove amore e morte, inscindibili, celebrano un rituale terribile e misterioso". Ma mai come questa volta le spiegazioni ‘razionali’ sono inadeguate a raccontare quello che accadrà sul palco. L’invito è a fare "un tuffo nelle sensazioni", come dice la stessa regista, che parla di "antico e nuovo, come diceva Stravinskij", di "canto, incanto e incantesimo", di "tragedia dell’essere", ma soprattutto della dimensione mitico-archetipica (e favolistica) del suo lavoro sulla bellissima zingara che, aggiunge De Vivo, "è sorella delle maghe mitiche come Circe e Medea". Lattuada confessa: "Adoro l’opera perché nell’opera c’è tutto. Per me deve essere un’esperienza sensoriale estrema. In Carmen c’è una primitività, un’impossibilità di essere ‘addomesticata’. Lei sa di prendersi un rischio incontrando l’umanità civilizzata. La sua non è una seduzione banale. Infatti nella parola sedurre c’è anche il significato di distruggere. Ma qui siamo al di là del bene e del male. Il mito non ha messaggi morali da dare. Sarebbe criminale ridurre la storia di Carmen a un fatto di cronaca".

Quanto alle due contorsioniste, nude in scena, la regista spiega che sono "un prolungamento di Carmen, sono le sue ali, la sua coda, le sue corna". La musica è quella ‘destrutturata’ di Constant. L’argentina Natalia Salinas lancia un "invito ad ascoltare l’opera in un altro modo. I personaggi infatti si presentano in modo diverso. Carmen, accompagnata solo dal timpano, canta come se mostrasse la sua luce interiore. L’entrata di Escamillo è priva di qualsiasi pomposità". Insomma, sarà "una Carmen intima e profonda, non tradizionale".

Raimondo Montesi