Fa scoprire la maxifrode del Made in Italy

Commerciante fabrianese denuncia alla Finanza i vestiti di poca qualità dopo le lamentele dei clienti: dietro la truffa una società di Assisi

Fa scoprire la maxifrode del Made in Italy

Fa scoprire la maxifrode del Made in Italy

di Sara Ferreri

Vendeva capi d’abbigliamento Made in Italy in "misto cashmere" ma i clienti tornavano indietro arrabbiati e lamentandosi della scarsa qualità di quegli abiti: negoziante fabrianese denuncia tutto alla guardia di finanza che scopre una maxifrode in commercio. Una indagine che ha portato al sequestro di immobili, conti correnti e fondi di investimento per oltre 1,1 milioni di euro di proprietà di una società di Assisi che cambiava le etichette. Dall’arrivo dalla Cina i capi di 100% poliestere divenivano in pochi istanti ‘lana misto cashmere’. In migliaia di capi compariva anche l’etichetta ‘Made in Italy’. Tutto è nato nella città della carta dove i finanzieri hanno avviato le indagini dopo le segnalazioni arrivate dal negoziante fabrianese. Al termine delle stesse il comando provinciale di Ancona ha dato esecuzione a un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche per equivalente, per un valore di oltre 1,1 milioni di euro, emesso dal gip del tribunale di Perugia nei confronti della società di Assisi, operante nella filiera dell’importazione, produzione e commercializzazione di abbigliamento. L’imprenditore è indagato perché avrebbe avviato alla commercializzazione sul territorio nazionale circa 59mila capi di abbigliamento, gran parte dei quali provenienti dalla repubblica popolare cinese, apponendovi etichette attestanti una falsa indicazione dei tessuti impiegati di qualità superiore rispetto a quelli reali, ottenendo così illecito profitto. Le investigazioni condotte dalle fiamme gialle della tenenza di Fabriano e coordinate dalla Procura di Ancona, attraverso la disamina della documentazione acquisita nel corso delle perquisizioni locali, hanno permesso di ricostruire i flussi di ingenti acquisti di capi di abbigliamento provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese, effettuate dall’imprenditore umbro. Una volta giunta la merce in Italia, secondo quanto hanno constatato gli inquirenti le etichette attestanti la effettiva composizione dei tessuti regolarmente apposte sul prodotto in ingresso sul territorio nazionale, venivano sostituite con altre indicanti una composizione dei tessuti di maggior pregio. Circa 22mila capi di abbigliamento riportavano inoltre la falsa attestazione "Made in Italy". Nel corso delle indagini è stata accertata la responsabilità anche di un’altra società perugina, che partecipava attivamente all’attività di produzione e commercializzazione, il cui legale rappresentante risulta indagato, in concorso, per gli stessi reati. In fase di esecuzione del provvedimento sono stati sottoposti a sequestro preventivo quattro conti correnti bancari e quote di fondi d’investimento italiani ed esteri, un capannone industriale ad Assisi e tre autoveicoli intestati alla società.