ANDREA MASSARO
Cronaca

Pippo De Cristofaro, il latitante che nessuno cerca

L’autore del delitto del catamarano non figura più tra le "note rosse" delle forze di polizia internazionali. Scarcerato nonostante l’ergastolo

Pippo De Cristofaro, il killer del catamarano al momento dell’arresto

Ancona, 16 luglio 2020 - Non è da un giorno che Pippo De Cristofaro riesce a farla franca. La sua è una vita in cui è stato sempre il primo a smarcarsi. Autore di fughe clamorose, quasi come Grazianeddu. A far da topo con il gatto sempre alle calcagna. Quel gatto che, però da quasi quattro anni non c’è neanche più. E’ esattamente dal 15 ottobre del 2016 che il killer del catamarano non lo cerca più nessuno.

De Cristofaro, autore di un delitto agghiacciante il 10 giugno 1988, quando uccise a colpi di machete con la complicità dell’allora fidanzata olandese Diana Beyer la skipper pesarese Annarita Curina, lasciando piombare il corpo in fondo al mar Adriatico davanti alla costa anconetana, non figura neppure più tra le 7306 "note rosse" delle forze dell’ordine.

Un killer libero di rifarsi un’altra vita, l’ennesima. Proprio come quella che si costruì in Portogallo, con un nome nuovo di zecca, Andrea Bertone. La squadra mobile di Ancona, a cui la Procura di Milano aveva delegato le ricerche dell’allora latitante, ci ha perso giorni e notti intere a cercare di capire dove diavolo si fosse nascosto. Era come cercare un ago nel pagliaio, De Cristofaro sarebbe potuto essere in qualsiasi angolo del mondo, magari con i capelli rasta, il volto rifatto, i baffi e la barba. O con un cappello panama in testa e il sigaro in bocca a godersi il sole dei Caraibi. O peggio ancora poteva essere anche morto. E invece gli investigatori dorici non mollarono niente. E riuscirono, grazie a un intuito formidabile, a capire che Pippo si nascondeva come un poveraccio qualunque in una provincia recondita del Portogallo, che faceva una vita sciatta, senza i sussulti di un’esistenza al massimo come quella vissuta fino a quel momento. Ancor più bella la cattura, dopo un pedinamento asfissiante.

Tanto da guadagnarsi persino i complimenti di Andrea Bartone, pardon Pippo De Cristofaro. Ma forse era destino che quest’uomo avesse un’altra chance, senza neanche dover vendere l’anima a chissà quale diavolo. Una mano tesa addirittura da un intreccio colpevole di errori, interpretazioni differenti e applicazione confusa e contraddittoria di normative. Sullo sfondo l’Italia, il paese che ne chiese forse tardivamente l’estradizione e il Portogallo, la nuova patria di De Cristofaro dove il codice penale non contempla l’ergastolo per delitti come quello da lui commesso. E per il quale De Cristofaro nel peregrinare tra le carceri italiane aveva in qualche modo scontato. Tanto da convincere il magistrato di sorveglianza del carcere di Lisbona ad aprirgli le porte in attesa di fissare un’udienza processuale mai celebrata.

A De Cristofaro, abituato a svignarsela da sempre, non è parso vero. Svanito nel nulla, esattamente come sempre, vanificando soldi spesi per cercarlo, montagne di carte, centinaia di giorni trascorsi a dare la caccia a un fantasma. Uno scandalo frutto dell’insipienza e di una giustizia smozzicata che non potrebbe convincere neppure chi ha nel sangue la più salda convinzione democratica. Nei terminali il suo nome figura a volte con il primo nome e a volte con il secondo, Antonio. Peccato che sia Giuseppe che Antonio sono solo ombre a cui nessuno può dare più la caccia. Scomparsi nel nulla, dimenticati nelle pieghe di ordinamenti di Paesi che non hanno saputo trovare una via di condotta univoca per fare l’unica cosa veramente giusta: sbattere De Cristofaro in carcere e non fargli più assaporare un secondo di libertà. Ma forse è vero che la giustizia, quella vera, non è di questo mondo.