Storia di un campione : "Mio nonno Gino Bartali. Così ha salvato tanti ebrei. Ma non voleva si sapesse"

La nipote Gioia oggi ospite del Panathlon all’hotel Concorde dell’Aspio "Quando uscì un film che parlava di quei fatti si arrabbiò tantissimo. Non voleva onorificenze e diceva sempre che il bene si fa, ma non si dice".

Storia di un campione : "Mio nonno Gino Bartali. Così ha salvato tanti ebrei. Ma non voleva si sapesse"

Storia di un campione : "Mio nonno Gino Bartali. Così ha salvato tanti ebrei. Ma non voleva si sapesse"

di Raimondo Montesi

Signora Gioia Bartali, quando ha iniziato ad essere la ‘testimonial’ della straordinaria vita di suo nonno?

"Nel 2017 presi casualmente una telefonata fatta a mio padre, che non poteva rispondere perché stava male. Quello stesso anno venne a mancare. Una scuola di Reggio Emilia doveva cambiare nome, e i suoi alunni, non gli insegnanti o i dirigenti scolastici, vollero che fosse intitolata a Gino Bartali. Inizialmente ero restia, ma alla fine riuscirono a convincermi che dovevo essere io a intervenire alla cerimonia di inaugurazione. Portai anche i miei figli. Durante quell’evento capii che quello che stavo facendo faceva crescere quasi più me stessa che coloro che mi ascoltavano".

Lo sentì come un dovere morale?

"Lo feci anche per mio padre Andrea, che era il primogenito, e che fino ad allora era stato il membro della famiglia più attivo nel ricordare mio nonno. Non era giusto perdere il suo impegno. Da allora sono stata invitata spesso ad iniziative commemorative, anche all’estero, in Argentina e in America. Nel 2018 il Giro d’Italia partì da Gerusalemme in onore di Bartali. Io ero presente. Mi si aprì un mondo. Era giusto raccontare la vita di mio nonno, per rispetto e per dovere nei suoi confronti. E per l’affetto che nutrivo per lui".

Il Bartali campione lo conoscono più o meno tutti. Il Bartali uomo, nel privato, com’era? "Era una persona generosa, modesta, profondamente religiosa, innamoratissimo della moglie Adriana, mia nonna. Lei era l’epicentro della sua vita. La loro storia d’amore è stata stupenda. Per loro era come se non fosse passato un giorno da quando si erano sposati. Si dice spesso che dietro un grande uomo c’è una grande donna... Lui le scriveva bellissime lettere quando era lontano da casa per le corse. Ci sono anche splendidi passaggi in cui parla della sua fede".

Una fede vissuta da cristiano ‘vero’.

"Sì, non si tratta solo di andare a messa la domenica. Mio nonno era anche un terziario carmelitano. In casa aveva una cappellina, che io vedevo da piccola. Lui prima di ogni gara vi faceva celebrare una messa. Pregava, non per vincere, ma per non cadere. Una caduta poteva significare la fine della carriera".

E’ vero che non voleva che si parlasse di quello che aveva fatto per gli ebrei?

"C’è la sua famosa frase: ‘Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca’. Lui inizialmente raccontò tutto a mio padre, ma facendosi promettere di non dirlo ad altri. Non voleva onorificenze. Addirittura quando nel 1985 uscì il film ‘Assisi Underground’, in cui viene citato il suo nome, si arrabbiò moltissimo. Minacciò addirittura di denunciare la Rai".

Da qualche anno si parla della sua possibile beatificazione. Viene da pensare che lui sarebbe contrario...

"Sicuramente non avrebbe voluto una cosa del genere mentre era in vita. Ma grazie alla beatificazione in un certo senso potrebbe continuare ad aiutare gli altri. Non credo che sarebbe una cosa sbagliata".