Sfruttamento e copie: ed ecco i prezzi stracciati

L’industria tessile è responsabile del 10 per cento dell’inquinamento globale

Abiti usa e getta, jeans che non superano i tre lavaggi e scarpe sempre meno durature oltre che affatto calibrate per una corretta postura: il fast fashion, in italiano ‘moda veloce’, è sempre più presente nelle vite degli italiani, giovani e non, mentre le alternative sostenibili arrancano ad arrivare in città. Con il termine ‘fast fashion’ ci si riferisce al settore che produce abbigliamento di tendenza a prezzi ultra economici con idee direttamente copiate dalle passerelle dei marchi di lusso. Ce ne sono ormai tantissimi di più grandi colossi del fast fashion, i cui ampissimi negozi accolgono i clienti con un’offerta vasta, sempre nuova e alla moda, a prezzi davvero attraenti. La domanda sorge spontanea: come può un prodotto di tendenza essere acquistato con così poca spesa ma sostenere comunque un’azienda?

E la risposta è piuttosto intuitiva: vendendo abiti scadenti, copiando invece che creando da zero, sottopagando la manodopera nella produzione e utilizzando un paio di escamotage per tagliare le spese e attirare comunque clienti. Tutto ciò a danno di lavoratori non rispettati adeguatamente e dell’ambiente, che soffre silente. Aggiudicandosi il secondo posto come settore più inquinante al mondo, dopo quello petrolifero, l’industria tessile è responsabile del 10% dell’inquinamento globale. Un impatto disastroso se si prende in analisi il consumo di risorse disponibili: ogni anno vengono consumati 79 trilioni di litri d’acqua, 190 mila tonnellate di microplastiche immesse ogni anno negli oceani con i lavaggi dei capi in fibre sintetiche, 92 milioni di tonnellate ogni anno di rifiuti, tra abiti invenduti e scarti che vengono giornalmente bruciati o mandati in discarica. Ma una soluzione a tutto ciò c’è: la moda sostenibile. Una scelta consapevole, fatta di lavori artigianali molto più pregiati e durevoli che spesso possono essere anche accessibili economicamente. Oltre ai consueti e tradizionali mercati giornalieri che in città e in provincia costituiscono una valida alternativa all’acquisto di beni nuovi di fabbrica, anche i negozi dell’usato, i cosiddetti ‘vintage store’, laddove presenti, possono rivelarsi molto interessanti. E se ad Ascoli sembra esserci una lacuna nell’offerta, come dimostrato anche dalle risposte dei ragazzi intervistati, a San benedetto il mercato risponde meglio a questa domanda, con due attività che propongono oggettistica e abbigliamento vintage.

Sarebbe bello se anche il centro di Ascoli tornasse a riempirsi di negozi, oltre che di bar e ristoranti. Finché non ci sarà un’alternativa ai centri commerciali che polarizzano l’interesse, soprattutto dei più giovani, è difficile che i ragazzi torni no a fare acquisti nel centro commerciale naturale che è il centro storico.

Ott. Firm.