REDAZIONE BOLOGNA

Bologna, cellulari al carcere della Dozza: l’indagine si allarga

Trenta indagati. Obbligo di dimora per i detenuti arrestati, tutti legati alla mafia. "Usavano i telefonini per dare ordini dalla cella"

Detenuti in carcere (immagine di repertorio)

Bologna, 2 giugno 2022 - I telefonini erano nascosti nei sacchetti dello zucchero o del riso, tutti ben risigillati con la colla ed esposti in bella vista sulla mensola della cella; uno era pure infilato nel tutore ortopedico alla gamba di uno degli arrestati, operato poco tempo prima. In totale, gli agenti della Penitenziaria con i colleghi della Mobile hanno sequestrato 13 telefonini, nascosti nei luoghi più bizzarri nel carcere della Dozza, soprattutto nel reparto di alta sicurezza, dove stanno i detenuti per reati legati all’associazione mafiosa. Gli indagati della maxi inchiesta coordinata dalla Dda con il sostituto procuratore Roberto Ceroni sono trenta, accusati di associazione a delinquere e accesso indebito a dispositivi di comunicazione.

Ieri le direttissime per i quattro detenuti arrestati, cioè Donato Gangale, Salvatore Rispoli (per loro l’avvocato Donata Malmusi), Antonino Pesce ed Elisha Omonbhude Akioya. Tutti ’volti noti’: Pesce era il giovane reggente dell’omonimo clan della ’ndrangheta di Reggio Calabria, Gangale era affiliato della ’ndrangheta di Crotone; Rispoli è in carcere per legami con la camorra e omicidio; Omonbhude era il capo di una ’famiglia’ della mafia nigeriana del clan Maphite. Gli arresti sono stati convalidati e per tutti e quattro è stata applicata la misura dell’obbligo di dimora. Tre hanno patteggiato ( due a un anno e mezzo e uno a un anno e due mesi) , l’avvocato di un quarto ha chiesto i termini a difesa.

Disposta la custodia cautelare, poi, per il quarantenne dipendente della ditta che ha in gestione il sopravvitto (il ’market’ del carcere), incensurato e insospettabile, che secondo gli inquirenti ha introdotto abusivamente cellulari e droga alla Dozza . Durante la perquisizione è stato trovato in possesso di 400 grammi di hashish e quattro telefonini, di cui due grandi quanto un accendino; altra droga è stata trovata a casa sua.

Stando alle accuse e alle intercettazioni , almeno dall’anno scorso i ’boss’ usavano i cellulari per parlare con le mogli e impartire ordini "da remoto": non solo messaggini romantici o di lamentele sulla vita in carcere, videochiamate e telefonate ai figli ("hai ricevuto il regalo?"), ma anche richieste più o meno velate di "fare cose" dietro loro indicazione.

"Un lungo lavoro d’indagine e un ottimo lavoro, ma bisogna fare un mea culpa: il carcere si è dimostrato vulnerabile – così Nicola D’Amore, del sindacato Sinappe –. L’amministrazione dovrebbe capire che in certe sezioni del penitenziario serve personale di esperienza, invece non è così, e giovani agenti sono presi di mira dai detenuti con comportamenti mafiosi, arroganti e di sopraffazione". In sostanza, conclude, "il quartiere più problematico di Bologna non è il Pilastro, ma la Dozza".

Per Giovanni Battista Durante, del Sappe, il problema è "nazionale: nelle carceri la sicurezza è sempre più destrutturata, affidata alla ’autogestione’ dei detenuti; lo denunciamo da anni. Su Tik Tok girano decine di video girati nelle celle di carceri campani. Bisogna ripristinare regole e sicurezza a livello italiano".