
L’intervento dei carabinieri sul luogo dell’omicidio
Giampiero Gualandi resta alla Dozza. E nei suoi confronti la Procura, al termine delle indagini dei carabinieri, ha chiesto di andare a processo con la formula del giudizio immediato. Il Riesame ha infatti accolto il ricorso presentato dai pm Lucia Russo e Stefano Dambruoso, che si erano opposti alla concessione dei domiciliari per l’odierno imputato, l’ex commissario capo della polizia locale di Anzola, accusato di aver ucciso, con un colpo di pistola al viso, l’ex collega Sofia Stefani, con cui aveva avuto una relazione.
Una decisione arrivata non sul merito, ossia il persistere dell’esigenza della custodia in carcere per Gualandi, ma per una ragione tecnica. Il tribunale, nell’accogliere la richiesta dei pm, rileva infatti che il provvedimento di attenuazione della misura cautelare era stato disposto senza l’osservanza della norma che stabilisce l’obbligo di preventiva comunicazione alle persone offese. Ossia, il difensore di Gualandi, l’avvocato Claudio Benenati, avrebbe dovuto informare della richiesta dei domiciliari avanzata nei confronti del suo assistito anche le parti offese, i genitori della vittima, rappresentati dall’avvocato Andrea Speranzoni. Avendo omesso questo passaggio, la richiesta va dunque riformulata dall’inizio e il provvedimento già pronunciato annullato. Tuttavia, questo non cambia la situazione dell’ex vigile: il sessantatreenne non ha infatti mai lasciato la Dozza, visto che la concessione degli arresti era subordinata all’installazione del braccialetto elettronico. Che, però, non era ancora disponibile, vista la carenza strutturale di questi apparecchi. "Il Riesame ha rilevato un vizio di forma – ha spiegato l’avvocato Benenati –: l’inammissibilità della misura dei domiciliari per il mio assistito è legata a un difetto di notifica alle parti offese. A giorni ripresenterò l’istanza per ottenere l’attenuazione della misura". Nel frattempo, concluse le indagini affidate ai militari dell’Arma del Nucleo investigativo e della compagnia di Borgo Panigale, la Procura ha trasmesso gli atti al gip con la richiesta di giudizio immediato. Gualandi, per l’accusa, avrebbe agito "per sottrarsi alle insistenze" della trentatreenne, che voleva a tutti i costi "proseguire la relazione, nonostante il disagio e i discontinui tentativi di lui di porre fine ad essa". Il tutto aggravato dall’aver commesso il fatto per futili motivi e in danno a una persona a cui era legato da una relazione affettiva. Sofia Stefani era stata uccisa il 16 maggio negli uffici del comando della polizia locale di Anzola, con un colpo partito dalla pistola di ordinanza di Gualandi.
L’ex comandante si è sempre difeso parlando di un tragico incidente, un colpo della pistola di ordinanza partito per sbaglio durante una colluttazione. Dalle prime risultanze degli accertamenti balistici affidati al Ris, tuttavia, è emerso come Sofia non abbia mai impugnato l’arma: non sono infatti state trovate tracce di donna sulla pistola. Gualandi aveva anche spiegato di avere la pistola in ufficio perché aveva intenzione di pulirla. Una versione che non ha convinto la Procura che ritiene, invece, anche al termine delle indagini, che si sia trattato di un omicidio volontario.
Nicoletta Tempera