Morì dopo l’intervento, condannato a un anno il tecnico perfusionista

Per l’accusa non regolò a dovere il livello di ossigenazione del paziente tramite l’apposito macchinario. Dovrà risarcire la famiglia del 57enne Mauro Casadio con 300mila euro

Un giudice ha detto che la morte di Mauro Casadio si poteva evitare

Un giudice ha detto che la morte di Mauro Casadio si poteva evitare

Bologna, 4 giugno 2024 – Era morto nel corso di quello che doveva essere un intervento di routine e a cui, peraltro, si era già sottoposto in passato. Era il 14 novembre 2019: fino a pochi minuti prima di entrare in sala operatoria, Mauro Casadio, operaio ravennate di 57 anni, aveva scherzato e chiacchierato con la moglie e il fratello in serenità. Ma poi tutto è precipitato e Mauro è entrato in coma irreversibile per poi morire pochi giorni dopo. E ora, un giudice dice che quella morte si poteva evitare: è stato un errore umano. E’ stato dunque condannato a un anno (pena sospesa) e a risarcire i familiari della vittima con una provvisionale di 300mila euro totali (cento alla moglie, cento al figlio e cinquanta a testa alla madre e al fratello della vittima) il tecnico perfusionista dell’equipe della clinica ’Villa Torri Hospital’ nella quale il 57enne fu operato. Il tecnico era accusato di omicidio colposo in cooperazione. Assolta invece l’anestesista (incaricata di dirigerlo sul piano medico, poiché il perfusionista non è un medico) a processo con lui. 

Nel corso del processo, sarebbe emerso come letale per il paziente fosse stato il mancato controllo, da parte del tecnico, del livello di ossigeno somministrato al paziente attaccato al macchinario per la circolazione e l’ossigenazione durante il suo intervento di sostituzione della valvola mitralica. Così, il difetto d’erogazione dell’ossigeno lo portò all’anossia, di cui ci si accorse troppo tardi, e ne scaturì un edema cerebrale generalizzato che ebbe conseguenze mortali. 

Inizialmente erano stati indagati, ma poi prosciolti, anche altri tre medici dell’équipe che operò Casadio, due chirurghi e un secondo anestesista.

"Non può che scaturire una nota di preoccupazione da questa vicenda – così l’avvocato dei familiari della vittima, Gabriele Bordoni –, in cui un difetto di attenzione rispetto a un meccanismo così delicato di competenza di un solo operatore, peraltro nemmeno medico, può portare a un evento gravissimo e irreversibile, e di cui nessuno oltre a lui può rendersi conto in sala operatoria poiché è il solo ad averne le competenze tecniche”.