Avallone: "Esploro il male in Cuore Nero". La letteratura mi ha insegnato l’empatia"

Il nuovo romanzo della scrittrice che vive a Bologna. "Il mio incontro con i ragazzi del Pratello: lo studio e la cultura riscattano"

La scrittrice Silvia Avallone (Foto di Giovanni Previdi)

La scrittrice Silvia Avallone (Foto di Giovanni Previdi)

Bologna, 25 gennaio 2024 – C’è una crepa – cantava Leonard Cohen – ed è da lì che passa la luce. E di crepe e luci, di abissi dell’anima e redenzione sono impastati i protagonisti del nuovo romanzo di Silvia Avallone, Cuore Nero (Rizzoli), al centro del nostro podcast di oggi e che presenterà al Modernissimo il 9 febbraio con il cardinale Zuppi. Ci sono Emilia, giovane donna che cerca di scrivere il suo futuro dopo 15 anni di carcere, minorile prima e per adulti poi, e Bruno, un insegnante in fuga dal mondo. Le loro solitudini si incontrano e si curano in un piccolo borgo abbandonato, luogo caro alla scrittrice che ha scelto di vivere nella nostra città. E che torna, ancora una volta in queste pagine intense, sgorgate anche dopo avere tenuto laboratori al carcere minorile del Pratello ("un’esperienza fortissima, per cui sono grata").

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Avallone, lei ha già scavato nelle vite di giovani donne, perché ha scelto queste ragazze ’interrotte’?

"Trovo che la letteratura riesca con maggiore empatia, senza giudizio, a tentare di comprendere l’irreparabile. È l’unico luogo capace di accogliere il dolore, sia subìto che compiuto, e la grande questione del male. Alle soglie dei 40 anni mi sono sentita pronta ad attraversare questo tema gigantesco. Conosco però i miei limiti e ho voluto affrontarlo dal punto di vista di un’adolescente, una donna, anche per sparigliare le carte: solo il 4,2 % della popolazione carceraria è femminile".

Un carcere che lei colloca a Bologna.

"Il carcere minorile femminile che racconto a Bologna non c’è e le ragazze sono frutto di mia invenzione. C’è però un carcere minorile maschile nel mio quartiere, il Pratello, e mille volte sono passata sotto queste mura, con la curiosità di entrare. Ho bisogno di conoscere i luoghi di dolore, l’ho fatto tante volte in questa città, dall’ospedale, al carcere minorile. È un luogo della colpa, ma dove stanno ragazzi: un’umanità ferita, ma che ha ancora tanto da riscattare".

Il ruolo dell’istruzione per lei è sempre al centro.

"È ciò in cui credo di più. Nella scuola, nella cultura. Credo che ci siano tanti tipi di male: quello radicale, irreparabile e qui si sconfina in domande religiose. Poi però c’è un male sociale e lì possiamo lavorare tantissimo. Non possiamo mai lasciare soli ragazzini davanti a uno schermo, in preda al far west dei video, del vuoto. Le storie che ho incontrato sono spesso di abbandoni scolastici precoci, di solitudini e invece deve arrivare tutta la società a fare comunità. Sugli schermi sono feroce: gli smartphone servono come strumenti fra gli altri, serve calore umano e giocare. Abbiamo bisogno di cultura anche per fronteggiare una rivoluzione tecnologica che ci fa andare indietro. Sento fortissimo questo grido di dolore da parte degli adolescenti".

Una domanda cruciale è sulla colpa e responsabilità di ragazzi così giovani.

"Scrivo romanzi perché le risposte non le ho. Non è un caso che io abbia raccontato una storia di male attraverso una storia d’amore. Certo male non lo si ripara in tutta la vita, ma lo puoi affiancare a un percorso d’amore. Credo nell’accompagnamento degli altri e che molto male sgorghi da un’immensa solitudine, ma altro male porta solo in un inferno. Ci vuole una mano tesa, ancora di più quando c’è un adolescente, che senza dubbio è responsabile di un’azione terribile, ma allo stesso tempo non è adulto e accanto alla sua responsabilità ce ne sono altre, quelle di tutto un mondo che probabilmente non ha saputo o potuto intervenire prima. Credo che in molti casi si possa intervenire prima attraverso una rete. Serve amore prima. Quando ci sono di mezzo delle vittime noi dobbiamo tenere insieme: il pensiero della vittima, che raggela, e il fatto che il carnefice è comunque un essere umano. Manzoni, Dostoevskij mi hanno insegnato questa empatia. Dobbiamo capire, prendiamoci del tempo, andiamo a conoscere. Ognuno di noi non è mai una cosa soltanto, una definizione. Questo libro è una preghiera".

Del Pratello che esperienza ci può raccontare?

"Se non hai le parole, è un ragionamento che facevamo anche con i ragazzi, non riesci a pensare. Se hai solo il gergo dell’illegalità o della detenzione non esci da lì e invece bisogna uscire dalle gabbie nella testa. Se tu inizi a pensarti come uno studente e non solo un detenuto ti metti in un’ottica che da chiusa diventa aperta. Devi mettere il futuro dentro le parole, lo studio è un percorso pieno di futuro. Sono tanto interessati ai testi dei rapper, ma quando ho letto Novembre di Giovanni Pascoli, ho visto lo scarto che produce la poesia".

Passiamo ai luoghi: perché il borgo piemontese di Sassaia?

"C’è una Bologna che è un’isola sbarrata a cui si contrappone un’isola di sassi, un paradiso sognato. Mi piaceva che Emilia, dopo 15 anni di carcere arrivasse a piedi, attraverso i boschi, in questo borgo sperduto, il mio posto preferito sulla terra. Anche se appartiene alla valle in cui io sono cresciuta ci sono arrivata dopo i lockdown e h ho sentito che mi si aprivano i polmoni. Questa rivoluzione digitale ci porta sempre altrove, non siamo mai presenti a noi stessi, figuriamoci a chi amiamo. Dopo quel dolore Emilia doveva stare lì, nella carne del mondo, dove incontra la voce narrante, Bruno, scappato per non vivere. In realtà vivranno di più: solo in quel silenzio possono amarsi, senza distrazioni".

Ha scritto ’Cuore nero’ mentre aspettava la sua seconda figlia.

"Anche questo ha determinato una volontà di riscatto. Quando aspetti un figlio pretendi il futuro. Questo è un libro con domande. Che cos’è il male? Il non saper perdonare: è una piccola risposta e temporanea, però ci credo. È stato un modo di provare a dare un piccolo contributo, mettere al mondo una figlia e azzardare, scommettere sul bene. Perché il bene è ostinato quanto il male. E forse anche di più".

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