Quella partita di biliardo con papa Pio VII

La rievoca in un suo scritto D’Azeglio. Fu giocata a Castel Gandolfo tra il patriota e il pontefice cesenate Barnaba Chiaramonti

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di Gabriele Papi

Quell’antica e curiosa partita a biliardo tra Pio VII, il cesenate Barnaba Chiaramonti e il giovane Massimo D’Azeglio, in una delle rare villeggiature del pontefice a Castel Gandolfo. La piccola specialità di questi nostri ‘domenicali’ è il racconto documentato di vicende minori rimaste sotto traccia, storie di varia umanità e del quotidiano: la memoria è il contrario dell’imbalsamazione.

E dunque. Pio VII (1747-1823), come il suo predecessore Pio VI (papa Braschi, anch’egli cesenate), ebbe la sventura di vivere negli anni della bufera napoleonica. Costretto dai Francesi ad abbandonare Roma e trasferito nel 1812 su ordine di Napoleone a Fontainebleau, tornò in Roma nel 1814 e poco dopo pubblicò la bolla che restaurava la Compagna dei Gesuiti. Fu in quegli anni, durante i giorni settembrini di villeggiatura, che avvenne l’incontro con un giovane Massimo D’Azeglio (futuro personaggio del nostro Risorgimento) presentato al papa dal padre Cesare d’Azeglio, ministro del Re di Sardegna. Avrebbe pronunciato al tempo dell’ Unità d’Italia la famosa frase: ‘fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani’. È proprio D’Azeglio, nel suo libro ‘I miei ricordi’, a rievocare da vecchio quell’incontro, in prima persona:

"A Castel Gandolfo, ove andai con mio padre, ebbi l’onore di giocare con lui una partita di biliardo. E mi ricordo benissimo la sua zazzera che staccava in scuro sotto il zucchetto e sull’abito bianco’. Il biliardo, gioco di società nato in Inghilterra si diffuse in tutta Europa nella seconda metà del ‘700 diventando comune nei caffè e nelle case signorili: era già in gran spolvero ai primi dell’800. Allora si diceva: ‘tirare il piccolo’. Probabile che Pio VII e il giovane D’Azeglio abbiano giocato di carambola. Propriamente la carambola era un biliardo più piccolo, anche se si giocava pur sempre con stecche e biglie d’avorio. Erano momenti di relax, diremmo oggi, insieme agli ospiti di turno.

Di quei momenti sappiamo anche i piccoli ristori offerti agli ospiti, grazie al succoso libro: ‘I Papi in campagna’, di Emilio Bonomelli. Non erano buffet lussuosi, semmai golosi, quelli in auge nei salotti borghesi. I camerieri di Pio VII servivano agli ospiti calici di limonea (limonata), fette di spongata (torta di frutta secca, canditi, miele e spezie) e bicchierini di ponce gelato (crema gelata rafforzata con un liquore). Volendo riprovare il sapore di questi ponce, si può prendere spunto dalla ricetta ’Ponce alla romana’, la n.770 della gloriosa “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene’ del nostro conterraneo Pellegrino Artusi. Dove il gastronomo specifica, con la sua penna soave, come ‘questa specie di gelato… aiuta la digestione’. E, a suo tempo, il buon Pio VII di rospi ne aveva da digerire parecchi, dovuti alle bravate e all’alterigia dell’irruento Napoleone…