Editoriale

Il bersagliere e il prete, storie per la pace

Nel 2024 sono trascorsi 30 anni dalla morte di mio padre Aurelio. Fu ufficiale del VI Reggimento Bersaglieri di Bologna. Sul fronte russo fu decorato di Medaglia d'argento al Valor militare e di Medaglia di bronzo al Valor militare "sul Campo". Ferito al petto sulle rive del fiume Don, teatro di grandi battaglie, fu ricoverato per mesi in pericolo di vita nell'ospedale militare di Cesenatico. Infine si riprese e tornò alla sua attività alla Cassa di Risparmio di Imola.

Mario Barnabé

Risponde Beppe Boni

La storia sepolta negli archivi e nelle memorie di famiglia ogni tanto restituisce schegge di grandi vicende umane che sono piccoli granelli di sabbia nella tragedia della guerra. Il bersagliere Aurelio Barnabè riportò la pelle a casa, riprese a vivere a Bologna e poi si dedicò all'attività di bancario a Imola dopo essere stato un eroe di guerra. Come tale va ricordato, ma come lui vanno anche ricordati tutti coloro che laggiù hanno lasciato la vita, anonime vittime di un disastro. Idealmente mettiamo una medaglia sul petto anche a coloro che non sono mai tornati, né morti né vivi, ma che hanno fatto il loro dovere chiamati dalla patria in un conflitto nel quale probabilmente nemmeno credevano. Bologna ha celebrato recentemente anche Don Enelio Franzoni, cappellano militare degli alpini anch'egli inviato sul fronte russo nel 1941. Per non lasciare soli i suoi soldati, molti dei quali feriti, si lasciò catturare dai militari sovietici nel 1942. E anche lui tornò a casa. In un momento in cui mezzo mondo è in fiamme, si muore a Gaza e in Ucraina, la storia di Don Franzoni e del bersagliere Bernabè riemersi dall'inferno bianco deve servire a ricordarci che bisogna fare di tutto per evitare i conflitti. Se chiudete gli occhi sentirete lontano una tromba che intona il silenzio.

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