Sanità alle corde

Dai medici di famiglia alle liste d'attesa, le falle sono parecchie. Per rendersene conto basta fare un salto al pronto soccorso dell'ospedale Maggiore di Bologna, uno dei più grandi dell'Emilia-Romagna

La colpa sarà anche del governo, che non paga abbastanza, ma la gestione della Sanità spetta alle Regioni. E la Sanità, purtroppo, non funziona. Dai medici di famiglia alle liste d'attesa, le falle sono parecchie. Per rendersene conto basta fare un salto al pronto soccorso dell'ospedale Maggiore di Bologna, uno dei più grandi dell'Emilia-Romagna. A chi scrive è capitato la scorsa settimana accompagnando una persona anziana. Si accede da una porticina laterale i cui vetri sono tanto sporchi da non riuscire a vedere dentro. E' colpa della Meloni? Mah. L'atrio è angusto, chi accede deve fare il triage e si mette in fila. I tempi d'attesa sono lunghissimi, eppure bisogna stare in piedi, perché nessuno, evidentemente, ha pensato di dotare la struttura di una sala d'attesa come si deve e di un banalissimo distributore di numeri taglia-code. E' colpa della Meloni? Mah. E' più fortunato (si fa per dire) chi arriva in ambulanza, perché accede direttamente al triage, dove gli viene assegnato un codice. Se non è rosso o arancione, comincia un'attesa estenuante in una stanza di una trentina di metri quadrati dove vengono stipati fino a 14 o 15 pazienti con relativi accompagnatori. In pratica, un carnaio. E' colpa della Meloni? Mah. Gli infermieri, eccezionali, si danno un gran daffare, ma sono pochi e rimbalzano da una parte all'altra come palline da flipper. Per vedere un medico bisogna aspettare di essere chiamati. Ma il pomeriggio diventa sera e la sera diventa notte e la notte quasi alba prima che la chiamata arrivi. E' colpa della Meloni? Mah. In ogni caso l'attesa non è finita, ora serve l'ok al ricovero. Girano voci: chi dice tarda mattinata, chi primo pomeriggio. E le ore passano senza che succeda nulla. Dall'arrivo ne sono trascorse quasi 24 quando, nella solita bolgia, un'infermiera comunica che in reparto non c'è posto (e se ne sono accorti ora?) e che il paziente sarà trasferito in un altro ospedale. Il seguito, fortunatamente, fila via liscio. Però resta la sensazione di un motore imballato e di un sistema malgestito. La stessa sensazione che sovviene quando si tenta di prenotare una visita specialistica e ci si imbatte nelle famigerate liste chiuse, un trucchetto per imbrogliare le statistiche. Oppure quando si cerca di intercettare un imprendibile medico di famiglia. Inevitabilmente - come ha ben raccontato lunedì scorso sul nostro giornale Nino Cartabellotta, della Fondazione Gimbe - sono sempre di più le famiglie che si rivolgono al privato, e quelle che non ne hanno la possibilità economica spesso rinunciano alle cure (in Emilia-Romagna il 6,4%, dice l'Istat). Tirando le somme: sì, c'è evidentemente un problema di risorse che il governo dovrebbe dare e non dà, come denunciano i presidenti di Regione. Ma c'è anche un problema gestionale e organizzativo non di poco conto.