Alluvione in Emilia Romagna, il report della catastrofe: "Allagheremo i campi per salvarci"

Il bilancio e le cose da fare nei risultati dello studio della commissione scientifica. Priolo: "Il record in 500 anni"

Bologna, 15 dicembre 2023 – Che cosa è accaduto dopo l’alluvione? E, soprattutto, che cosa si può fare oggi e domani per affrontare i cambiamenti climatici ed evitare gli eventi disastrosi di maggio? Le risposte arrivano dalla Commissione tecnico-scientifica incaricata dalla Regione Emilia-Romagna (prima della nomina del commissario Francesco Figliuolo) che, in primis, dà un dato: "Gli eventi di maggio hanno la probabilità di verificarsi una volta ogni 500 anni".

Una foto simbolo dell'alluvione di maggio, due carabinieri salvano un anziano
Una foto simbolo dell'alluvione di maggio, due carabinieri salvano un anziano

In certi casi, la probabilità che si verifichi un’alluvione simile sale anche a "mille anni" o più, dice la vicepresidente e assessora all’Ambiente, Irene Priolo, considerando anche il maltempo eccezionale del 2-3 maggio a cui è seguito quello del 16-17 maggio. "Un’alluvione senza precedenti, da quando si raccolgono i dati, cioè dal 1921, e ancora più severa di quella del 1939", dice la vicepresidente.

Che fare? Il dossier di 150 pagine elenca i danni, le cause, ma anche le possibili soluzioni. Alcune strutturali, altre non, ma con un obiettivo: ricostruire presto, ma bene. Una delle indicazioni dei tecnici è quella di usare inondazioni controllate di specifiche porzioni di territorio, un po’ come accadde nel momento clou dell’alluvione in Romagna, con la cooperativa di braccianti Cab Terra che accettò di allagare i suoi terreni per salvare Ravenna.

"Dobbiamo prepararci ad allagamenti su scala ampia per salvaguardare i centri abitati – spiega spiega il coordinatore dello studio, Armando Brath, professore dell’Università di Bologna –. Ovviamente i danni verranno remunerati".

Altro punto del dossier, è quello sulle nuove opere di "laminazione delle piene", come casse di espansione e invasi montani: una soluzione "per dare maggior spazio ai corsi d’acqua", spiega l’esperto. Infine, serve gestire la vegetazione delle ripe per indirizzare la manutenzione degli alvei fluviali.

Ma se la relazione guarda al futuro (e anche alla necessità di utilizzare big data e intelligenza artificiale per migliorare le capacità di previsione degli aspetti meteorologici), non manca un aspetto di analisi del passato, elencando i danni, drammatici, dell’alluvione di maggio. Sono stati 23 i fiumi esondati, pari a 11 dighe di Ridracoli, quasi 66mila le frane e poco meno di 2mila le infrastrutture stradali coinvolte dal dissesto.

Infine, il report analizza le cause della catastrofe. Si parte dalla "copertura forestale – spiega Brath – che negli anni è cresciuta per via dello spopolamento di montagna e collina. L’area boschiva, insomma, è cresciuta in maniera spontanea, senza adeguata manutenzione, diventando un fattore di rischio per le frane".

Non solo. C’è poi la vegetazione sugli argini dei fiumi e dei corsi d’acqua: gli esperti consigliano un taglio di tipo selettivo, mantenendo una copertura di alberi e arbusti non inferiore al 20 per cento. Infine, il consumo di suolo.

L’Emilia-Romagna è la regione con maggiore superficie compresa nelle aree a pericolosità idraulica media (il 45% del territorio), "ma i dati sono sovrastimanti", si precisa nella relazione, perché "la Regione include nella mappatura anche le aree che risultano allagabili". In sintesi: aver costruito troppo ha inciso sul’alluvione? Per Brath "il consumo di suolo dell’Emilia-Romagna ha avuto un impatto notevole nei danni provocati dalle due alluvioni, ma non sulle cause degli stessi fenomeni. Perché la piena si è originata nei territori collinari e montani, dove al contrario la presenza dell’uomo è diminuita".