Due pescherecci affondati. Tragedie e crisi economica, mai così poche barche in mare

San Benedetto del Tronto alle prese con il caro carburante e la mancanza di personale. Una storia gloriosa di coraggio e sacrificio. La ferita più grande: il naufragio del ’Pinguino’.

Due pescherecci affondati. Tragedie e crisi economica, mai così poche barche in mare

Due pescherecci affondati. Tragedie e crisi economica, mai così poche barche in mare

di Marcello Iezzi

SAN BENEDETTO DEL TRONTO

Un’altra tragedia sfiorata in cinque giorni. La marineria sambenedettese ha pagato col sangue tanti incidenti in mare, dai tempi della pesca oceanica a quelli più recenti della pesca locale, mai però aveva perso due pescherecci nel volgere di così pochi giorni. Per fortuna senza vittime, ma con tanti danni economici per un settore in ginocchio a causa della crisi, del costo del carburante, della mancanza di personale. Tra le più importanti della costa Adriatica e a livello nazionale, sta subendo una profonda crisi che ha determinato il crollo delle unità da pesca. Oggi conta soltanto 34 pescherecci con reti a strascico che, nel rispetto delle normative, escono in mare tre volte a settimana. Vi è poi una decina di barche che esercitano la pesca artigianale e una flotta di venti vongolare. Solo quattro le imbarcazioni per la pesca del pesce azzurro: due sono le lampare e due le volanti che pescano con le reti a coppia. Globalmente si calcola che ogni anno vengono vendute all’asta del locale mercato oltre 500 mila casse di pesce.

La pesca, dopo il turismo, è una delle principali economie su cui si regge la città di San Benedetto più volte ferita da eventi nefasti. Lungo è l’elenco delle unità da pesca affondate e dei marittimi che hanno perso la vita. Il più lontano e drammatico fu quello del ’Pinguino’, peschereccio oceanico che affondò davanti alle coste della Mauritania nella notte tra il 19 e il 20 febbraio del 1966, costato la vita a 12 marittimi. E poi la tragedia del ’Rodi’, altro natante oceanico affondato in Adriatico davanti al porto di San Benedetto, la notte del 23 dicembre del 1979, portandosi via la vita di 10 uomini d’equipaggio. Venendo ai tempi recenti, la più grave tragedia fu l’affondamento del ’Rita Evelin’ avvenuto il 26 ottobre del 2006 a largo dalla costa di San Benedetto, costato la vita a 3 dei quattro marittimi. L’affondamento dell’ ’Iris’ avvenne il 5 maggio del 2010 nel quale trovò la morte il capitano Francesco Voltattorni e poi l’affondamento del peschereccio ’Stella Bianca’ del 4 dicembre del 2014 dove ha trovato la morte il capitano Livio Capriotti, affondato dopo l’urto contro la scogliera all’imboccatura del porto di San Benedetto. L’elenco degli affondamenti è ancora lungo e sono quelli in cui, fortunatamente non ci sono state vittime, come quelli del ’Bianca Maria’ (25 agosto 2015), ’William’ nell’agosto del 2020, del ’Falco Pescatore’ (29 aprile del 2011).

I marittimi di quest’ultimo furono tratti in salvo dall’equipaggio del ’Roberta’ lo stesso che giovedì scorso ha recuperato i naufraghi dell’’Antonio Padre’. "Una quindicina di anni fa ho tratto in salvo i marinai del peschereccio ’Falco Pescatore’ affondato davanti alla costa di Porto San Giorgio dopo essere stato speronato da una grossa nave cisterna che trasportava carburante – racconta il comandante Marco D’Addezio – in pratica la stessa dinamica. Sono rimasto scioccato. Giunto a terra ero completamente disorientato".

È la legge del mare. Quando c’è bisogno di intervenire per salvare una vita, tra i pescatori scatta la grande solidarietà e nessuno si tira indietro, anche a costo di correre seri rischi.