FEDERICO MALAVASI
Cronaca

Carcere, la rivolta del lockdown. Due giorni di incendi e violenza. Verso il processo 37 detenuti

In pieno periodo Covid avrebbero appiccato il fuoco e devastato intere sezioni dell’istituto. Agenti aggrediti e atti di autolesionismo. Ieri al via l’udienza preliminare. Ecco tutte le accuse.

Carcere, la rivolta del lockdown. Due giorni di incendi e violenza. Verso il processo 37 detenuti

Carcere, la rivolta del lockdown. Due giorni di incendi e violenza. Verso il processo 37 detenuti

"Assassini, il virus ci sta uccidendo. Carcere di m.". Al ritmo di questa e altri frasi di incitamento alla rivolta, avrebbero messo a ferro e fuoco in due diverse occasioni alcune sezioni del carcere. Quella al centro dell’udienza preliminare iniziata ieri è solo una delle tante sommosse scoppiate nei penitenziari di tutta Italia durante il primo periodo di lockdown. Tra l’8 e il 9 marzo del 2020 anche tra le mura dell’Arginone si registrarono momenti ad altissima tensione, con incendi all’interno delle sezioni, pesanti danneggiamenti a infissi, arredi e oggetti vari oltre ad aggressioni verbali e fisiche agli agenti della polizia penitenziaria che cercavano di sedare la rabbia scoppiata a seguito della rapida diffusione del Covid e delle conseguenti pesanti restrizioni. Per quei fatti, la procura ha chiesto il rinvio a giudizio di 37 persone, all’epoca tutte detenute a Ferrara. Alcuni di essi sono stati individuati come promotori diretti dei disordini, altri come ‘semplici’ partecipanti. Tra di loro ci sono alcuni nomi già noti alle cronache, come Glory Egbogun, detto Omomo (difeso dall’avvocato Giampaolo Remondi), già condannato come membro degli Arobaga Vikings nel processo alla mafia nigeriana, o Afrim Bejzaku (avvocato Alessandro Gabellone), al tempo amico di Norbert Feher alias Igor il russo, ma estraneo ai fatti di sangue di cui si era macchiato il pluriomicida serbo. O anche Fiore Ricci (ritenuto tra i ‘capi’ della rivolta), noto per numerosi furti commessi in Veneto, e Nicola Di Rosalia, un palermitano residente a Cento con alle spalle una serie di rapine tra Ferrara, Modena e Bologna.

Le accuse, formulate a vario titolo, vanno dal danneggiamento all’incendio passando per le lesioni e la resistenza a pubblico ufficiale. L’udienza di ieri davanti al giudice Carlo Negri è stata dedicata ad alcune questioni tecniche. Dopo la costituzione delle parti, è stato disposto un rinvio all’11 ottobre per permettere ai difensori degli imputati (alcuni collegati da remoto) di visionare i video delle telecamere del carcere che avrebbero ripreso le sequenze della rivolta. Il numero degli imputati sembra comunque destinato a sfoltirsi, almeno per quel che riguarda il filone principale. Alcuni di essi, infatti, risultano irreperibili o espulsi dal territorio. Per queste posizioni è verosimile che verrà disposto uno stralcio.

Ma veniamo al dettaglio delle contestazioni di cui devono rispondere. Il primo capo di imputazione è relativo ai disordini che si sono consumati tra le 16.30 e le 21.15 dell’8 marzo 2020. In quelle cinque ore di follia, gli imputati avrebbero scatenato il pandemonio nella prima e seconda sezione, spaccando vetri, tavoli, biliardini e suppellettili, armandosi di spranghe e bastoni ottenuti dal danneggiamento dei mobili. Durante i disordini alcuni si sarebbero feriti con delle lamette e altri si sarebbero scagliati contro gli agenti della polizia penitenziaria che cercavano di riportare la situazione alla calma.

Un copione che si è ripetuto il giorno successivo in maniera ancora più plateale nelle sezioni seconda, terza e sesta, con incendio di lenzuola, materassi e suppellettili, rottura di vetri, brande, tavoli, lavandini, telecamere, centraline elettriche, lampade e tanto altro. Il tutto condito da urla, incitamenti alla rivolta ("Spaccate tutto... Questa è Sparta"), insulti e lanci di pezzi di vetro e altri oggetti agli agenti. Non solo. Uno dei detenuti, individuato come promotore della rivolta, avrebbe ordinato ad altri di bloccare l’ingresso della sezione con una branda mentre un altro, con il volto travisato da una maglietta, dopo aver appiccato il primo rogo avrebbe cercato di oscurare la visuale sui disordini posizionando un materasso sulle vetrate della guardiola della sesta sezione. L’ultimo capo di imputazione riguarda infine l’aggressione a un agente, colpito al torace con una mazza di legno scagliata da un detenuto mentre il poliziotto era intento a spegnere uno degli incendi con un idrante.